di Aldo Grasso e Massimo Scaglioni *
Le elezioni di febbraio sono state oggetto di attenzione e riflessione, sia in Italia sia all’estero, per diverse ragioni. Singolare, per esempio, la storia del ragionier Beppe Grillo: nasce cabarettista negli scantinati genovesi, approda in tv, si fa cacciare dalla Rai per una battuta, finisce nei teatri a raccontare contraddizioni e sprechi delle multinazionali, apre un seguitissimo blog, fonda una sorta di partito politico contro i professionisti della politica. In pochi anni riesce a conquistarsi quel consenso tra la gente che i “vecchi” politici non riescono più a ottenere: una curiosa parabola dal “popolare” al “populismo”.
L’Italia è da tempo sotto i riflettori internazionali per via della crisi economica e dell’incertezza istituzionale, che i risultati usciti dalle urne hanno tutt’altro che sciolto. Inoltre, la stessa campagna elettorale ha suscitato grande interesse per più di un motivo. Le molte novità hanno sì riguardato, appunto, l’affacciarsi di fenomeni inediti sul piano politologico (la presenza, e il successo, di un soggetto come il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, o la “salita in campo” del premier “tecnico” in carica, Mario Monti, alla guida di una formazione di centro), ma anche come questi fenomeni abbiano, almeno parzialmente, modificato le abitudini della comunicazione politica, e del rapporto fra politica e media.
Sotto quest’ultimo punto di vista, possiamo ben dire che quelle del 2013 sono state le prime elezioni generali caratterizzate da uno scenario mediale piuttosto diverso da quello degli ultimi vent’anni, gli anni della cosiddetta “Seconda Repubblica”. Se volessimo riassumere in uno slogan le caratteristiche di questo nuovo scenario, potremmo dire che quelle del 2013 sono state le prime elezioni che si sono svolte entro un “ambiente mediale convergente”. Gli anni della “Seconda Repubblica” sono stati caratterizzati da un sistema mediale tradizionale e statico. Gli anni Novanta, in particolare, hanno visto il consolidarsi di un sistema il cui decisamente la televisione, e la televisione commerciale in particolare. La “televisione berlusconiana”, nata in maniera arrembante e “creativa” nel decennio precedente, ha in qualche modo imposto il proprio modello e la propria egemonia all’intero sistema, sia dal punto di vista simbolico sia da quello istituzionale-economico, con il consolidarsi del “duopolio imperfetto” pubblico-privato e il progressivo smarrimento della missione di servizio pubblico da parte della Rai. Fra gli anni Novanta e i primi anni del Duemila, la televisione è diventata sempre più il centro del sistema: dal punto di vista delle risorse pubblicitarie che era in grado di catalizzare, ma anche da quello dei consumi mediali, in una posizione dominante.
Solo nel corso degli ultimi anni il panorama ha mostrato segnali importanti di cambiamento. Intanto, lo stesso scenario televisivo è andato oltre il “duopolio”: la progressiva crescita della pay-tv e l’affermarsi di un terzo, grande attore, come Sky Italia hanno rotto l’oligopolio Rai-Mediaset. La digitalizzazione della distribuzione e l’avvento della televisione digitale terrestre ha inoltre fatto entrare il Paese nell’età dell’“abbondanza” e della multicanalità. Sebbene il sistema, da un punto di vista economico, non si sia aperto quanto si fosse sperato, nuovi attori, nazionali e multinazionali, si sono affacciati nel mercato del broadcasting, dell’offerta e della raccolta pubblicitaria. Senz’altro lo scenario televisivo, alla fine del processo di switch off, si presenta come più complesso e variegato di un tempo. Ma il cambiamento non ha riguardato solamente la televisione: la progressiva – seppur non così rapida – diffusione della banda larga, delle connessioni domestiche alla Rete, della popolarità e dell’uso di nuovi media, come i social network, hanno contribuito ulteriormente a modificare lo scenario mediale nazionale.
Quando parliamo di “ambiente mediale convergente” intendiamo precisamente dire che, a tutt’oggi, ciascun mezzo di comunicazione si connette inevitabilmente a tutti gli altri. Paiono oziose le discussioni su quanto «i social network sottraggono potere alla televisione», perché in un ambiente mediale convergente tutti i media dialogano, e la Rete, gli stessi social network, si riempiono sovente di contenuti che si originano in televisione (molto più che al contrario, anche se recentemente la stessa televisione dedica all’universo del web un’attenzione costante, proprio in relazione all’affermarsi del movimento dei “grillini”). Complessivamente possiamo dire che l’offerta mediale si fa sempre più ampia, talvolta “personalizzata”, spesso interattiva, mentre il consumo si frammenta in mille rivoli e declinazioni. Ciò non significa, però, che non esistano luoghi di confluenza, di ampia condivisione, di incontro. E, nonostante la grande enfasi che si tende a dare ai “nuovi mezzi” e alla Rete, la televisione resta, senza dubbio, la piazza comune, il consensus medium più rilevante nella formazione dell’opinione pubblica, rispetto al quale gli altri media fanno, spesso, da cassa di risonanza o da strumento di contrappunto.
Anche in queste ultime elezioni, dunque, la televisione ha occupato il centro della scena. Ciascuno dei candidati di prima fila s’è ritagliato un profilo ben definito, con la sua presenza e – talvolta – con la sua assenza dal piccolo schermo. Questa centralità del mezzo televisivo è rilevabile sia in termini di consumi sia in termini di offerta: la politica in tv ha raccolto interesse crescente nel corso della campagna elettorale, soprattutto nella formula ormai canonica di rappresentazione del confronto, ovvero il talk show; d’altra parte, in un’ovvia dinamica d’offerta che segue la domanda, il piccolo schermo ha dedicato spazi consistenti alla politica.
Sul primo versante, i consumi di programmi d’approfondimento politico hanno registrato ascolti via via crescenti nel corso della campagna elettorale. La rete generalista nazionale che più è stata in grado di capitalizzare questa attenzione per la politica è stata La7, il “terzo polo” fino a poco tempo fa di proprietà di Telecom Italia. I suoi due appuntamenti di prima serata, Serviziopubblico di Michele Santoro e Piazzapulita di Corrado Formigli, hanno trascinato l’intera rete ben sopra gli abituali standard d’ascolti: il primo, in particolare, nel periodo compreso fra ottobre e febbraio, ha intercettato oltre 3 milioni e 200mila spettatori, con la puntata-evento con Silvio Berlusconi che ha toccato oltre 8 milioni e 600mila spettatori medi.
L’altra rete di riferimento per gli spettatori interessati al confronto politico è stata Rai3: Ballarò di Giovanni Floris è stato il programma di prime time più seguito, con più di 4 milioni e 300mila spettatori medi fra settembre e febbraio. In ambito Mediaset, il lancio di un nuovo talk d’approfondimento, Quinta Colonna condotto da Paolo del Debbio, ha dato frutti inattesi: oltre 1 milione e 700mila spettatori medi fra settembre e febbraio. Accanto a questi programmi di punta, una miriade di altre occasioni hanno dato modo ai candidati delle coalizioni di esprimersi e confrontarsi: da Porta a Porta a 8 e ½, da Leader a Lo spoglio…
Anche il tempo complessivo che i canali nazionali hanno dedicato alla politica è stato molto consistente. A questo proposito è opportuno distinguere fra una “campagna elettorale lunga” e una “campagna elettorale ristretta”. La prima è di fatto cominciata subito dopo l’estate del 2012, con la ripresa della stagione televisiva (e dei talk), con le primarie del Partito Democratico, le elezioni amministrative in Sicilia e il primo, eclatante successo del Movimento 5 Stelle, e, infine, con la decisione di Silvio Berlusconi di ricandidarsi. La “campagna elettorale ristretta” ha invece caratterizzato solamente i mesi di gennaio e febbraio 2013, con l’entrata in vigore delle regole sulla par condicio. Dal punto di vista dell’elettorato, che ha iniziato ad accendere il proprio interesse per il previsto confronto elettorale con la ripresa della stagione tv, la campagna elettorale più rilevante è stata decisamente la prima. È in questo periodo più ampio, durato circa sei mesi, che in televisione si sono succeduti una serie di eventi che hanno caratterizzato gli atteggiamenti e lo stile comunicativo dei diversi candidati in lizza.
Una presente assenza: Beppe Grillo
Spesso un po’ superficialmente, si sostiene che la forza mediatica di Beppe Grillo e del suo movimento consista nella capacità di mobilitare il “popolo del web”. Se è vero che il fenomeno Grillo è nato e cresciuto grazie alla Rete e che quest’ultima ha avuto un peso fondamentale nella costituzione del Movimento 5 Stelle, non va però dimenticato che il comico-politico “sfonda” e diventa mainstream grazie alla televisione. La strategia dell’assenza, ovvero il non concedersi ai talk di confronto politico e, in generale, ai programmi d’informazione, è valsa al comico-politico una presenza di fatto in tv. Nella “campagna elettorale lunga”, e precisamente fra settembre e la fine dell’anno (cioè prima della partenza della par condicio) Grillo ha totalizzato un più che consistente “tempo d’antenna”, di oltre 38 ore, raccolto sia attraverso servizi dedicati a lui e al movimento, sia attraverso veri e propri spezzoni dei comizi ripresi e ritrasmessi dai programmi di approfondimento (qui e in seguito citiamo elaborazione Geca Italia, dal 1° settembre al 31 dicembre 2012, considerando telegiornali e trasmissioni informative sulle seguenti reti: Rai1, Rai2, Rai3, Retequattro, Italia1, Canale5, La7, La7d, Mtv, RaiNews, TgCom24, Cielo, SkyTg24, Repubblica Tv, Deejay Tv).
Insomma, mentre il fenomeno stava progressivamente montando, sia in Rete sia attraverso la presenza del leader nelle piazze d’Italia, la televisione lo scopre e lo rilancia. Grillo diventa oggetto dell’agenda dei media generalisti in due occasioni, in particolare. Il massimo d’interesse che la tv dedica al fenomeno coincide con le elezioni amministrative in Sicilia, a ottobre 2012. In una sorta di spirale dell’attenzione, Grillo mette a segno un punto comunicativo centrale con l’attraversamento a nuoto dello stretto di Messina (che diventa il principale oggetto di notizia da parte non solo dei tg, ma anche delle trasmissioni d’approfondimento); il successivo, e in parte conseguente, risultato elettorale lusinghiero riporta le trasmissioni tv a occuparsi di lui, a chiedere commenti sul successo, a riproporre le immagini dell’attraversamento a nuoto.
La seconda ragione principale di interesse delle trasmissioni televisive nazionali per Grillo coincide con le ampie polemiche relative ai “dissidenti” del Movimento 5 Stelle (soprattutto con i casi Favia e Salsi). Se nel primo caso, quello dell’attraversamento a nuoto dello Stretto di Messina, l’attenzione è in qualche modo “costruita” da un’intelligente opera di comunicazione politica (che culmina proprio con le immagini dell’impresa dell’attraversamento riuscito), in questo secondo caso Grillo deve giocare in difesa: lo fa alternando attacchi diretti ai “dissidenti” e tattica del “rifiuto” di commentare ai media italiani, come nel caso della dichiarazione negata al giornalista Mediaset di Quinta Colonna, che diventa altresì tema della trasmissione. In questo senso Grillo è stato il miglior candidato per un ambiente mediale convergente: si è sottratto al “circo televisivo”, marcando una propria netta differenza rispetto alla tradizionale classe politica; ma è riuscito, comunque, a entrare con decisione nell’agenda dei media mainstream, e in particolare della televisione.
La casa di Sua Emittenza: Silvio Berlusconi
Per Silvio Berlusconi il momento comunicativo decisivo è stato quello compreso fra la decisione di “ridiscendere in campo” e l’entrata in vigore della par condicio. È stato in particolare nel periodo delle festività natalizie, fra dicembre e gennaio, che la macchina comunicativa di Berlusconi si è rivelata più efficace, tanto da iniziare a invertire una tendenza fino ad allora molto negativa nei sondaggi. A differenza di Grillo, che s’impone con la sua assenza, Berlusconi è consapevole di poter contare principalmente sulla sua presenza fisica, sul suo corpo in video, sulla straordinaria capacità di “piegare” il mezzo televisivo, soprattutto nella fase in cui non si sono ancora attivate le norme della par condicio. Nel periodo compreso fra settembre e dicembre, Berlusconi totalizza un tempo d’antenna estremamente considerevole, ovvero di oltre 150 ore. Nel periodo delle feste natalizie il leader del PdL concentra la sua massima presenza sul video, focalizzando l’attenzione su quelle trasmissioni che raggiungono un pubblico meno interessato alla politica e più propenso ad ascoltare (e talvolta condividere) le sue ragioni: si tratta del pubblico prevalentemente femminile di Mattino Cinque, della Telefonata di Belpietro, di Unomattina, di Domenica Live, di Pomeriggio Cinque. L’abilità di Berlusconi consiste inoltre nel trascinare un pubblico molto ampio, e solitamente meno interessato alla politica, su programmi di approfondimento: culmine di questa strategia, lo “scontro” in diretta con Michele Santoro e Marco Travaglio, nella trasmissione Serviziopubblico del 10 gennaio. In quest’occasione non soltanto catalizza un’audience record di 8.670.000 spettatori, ma triplica la presenza del pubblico femminile, rispetto alla consueta media del programma: oltre 4 milioni di donne seguono il confronto. La televisione è certamente il mezzo che più si confà allo stile comunicativo del Cavaliere: questi è in grado di spettacolarizzare ed “eventizzare” un programma di approfondimento. In un ambiente mediale più complesso e, come l’abbiamo definito, “convergente” – seppur ancora dominato dalla tv – Berlusconi resta un candidato forte, come poi i risultati delle urne hanno mostrato.
Il vuoto dopo le primarie: Pierluigi Bersani
Nella “campagna elettorale lunga”, iniziata a settembre, il momento di maggiore forza comunicativa per Pierluigi Bersani coincide con la fase delle primarie del Pd, nei mesi di ottobre e novembre. È il partito, in particolare, che riesce a catalizzare l’attenzione mediatica e a dettare l’agenda con la sfida a cinque fra Matteo Renzi, Nichi Vendola, Laura Puppato, Bruno Tabacci e il segretario Bersani, che esce vincitore dalla sfida. Dal punto di vista televisivo, il confronto “all’americana” ospitato da SkyTg24 il 12 novembre rappresenta il punto più alto
della campagna del centro-sinistra. Una volta vinte le consultazioni fra i sostenitori del Pd, però, Bersani sembra sempre più in difficoltà a definire una linea comunicativa stabile e coerente. Sposando la via della serietà e della sobrietà, Bersani pare voler evitare ogni eccessiva concessione alla politica-spettacolo. La sua visibilità televisiva però pare contrarsi, quanto meno rispetto all’avversario Berlusconi: 133 ore di tempo d’antenna negli ultimi quattro mesi dell’anno. La linea delle scarse concessioni all’aspetto più “pop” della comunicazione politica pare poi mostrare delle deroghe. Nella puntata di Porta a Porta del 19 febbraio si fa riprendere accanto a un giaguaro di peluche, amplificando un corto-circuito fra informazione e comicità: Bersani accetta di giocare con il proprio “doppio” creato da Maurizio Crozza. Ma la parte non gli è pienamente consona, né del tutto coerente con la strategia della sobrietà.
Dalla sobrietà al pop: Mario Monti
Dal punto di vista comunicativo, la campagna di Mario Monti può essere distinta in due momenti radicalmente differenti, il cui spartiacque è rappresentato dalla comunicazione pubblica della decisione di “salire in politica”, alla fine di dicembre. Il ruolo del presidente del Consiglio era rimasto, fino ad allora, ambiguo: la riserva sulla decisione di candidarsi, costituendo un terzo polo di centro, viene sciolta alla partenza della campagna elettorale vera e propria. Per questa ragione, se osservato in un arco temporale più ampio (quel periodo che abbiamo definito “campagna elettorale lunga”) il ruolo di Monti appare quasi schizofrenico. Da settembre alla fine dell’anno, Mario Monti è senz’ombra di dubbio il personaggio politico più visibile in televisione: le sue 205 ore di “tempo d’antenna” superano sia quelle di Bersani sia quelle di Berlusconi. Ma in quest’amplissimo spazio di visibilità, Monti appare come il sobrio premier super partes dal fare professorale, poco propenso a concedersi alle esigenze della politica-spettacolo. La “salita in campo” rappresenta, appunto, uno spartiacque radicale, anche per quanto concerne le scelte comunicativo-mediali. Negli ultimi due mesi di campagna, questi pare voler sfruttare tutte le opportunità offerte da un ambiente mediale convergente: sembra voler inseguire Beppe Grillo sul terreno dell’uso della Rete e dei social network, con l’apertura di profili Twitter e Facebook; ma pare anche avvicinarsi alle strategie comunicative di Berlusconi, concedendosi variamente alle forme della “politica-pop” in televisione, come nel caso della puntata delle Invasioni Barbariche in cui riceve in regalo dalla conduttrice Daria Bignardi un cagnolino. Un cambiamento così radicale e inatteso da disorientare anche una parte del suo elettorato potenziale.
Il paradosso dell’umore
Queste elezioni si portano dentro (“nella pancia”, verrebbe da dire) un curioso paradosso: passeranno alla storia come le più umorali, le più emotive, le più “di pancia” dal 1948 a oggi. Nonostante la Rete, i social network, la tecnologia avanzata; anzi forse proprio per questo. Sono state le elezioni caratterizzate dal trionfo della strategia della contro-tv e del “partito web”, dall’esplosione della “democrazia dal basso”, dalla comunicazione in streaming (versione attuale del mito della diretta televisiva degli anni Sessanta), dalla grande mobilitazione dei meetup grillini, versione on line delle sezioni di partito. La svolta di Grillo è un mix che intreccia Rete e piazze, presenza nelle tv tradizionali in veste di “notizia” e web tv, virtuale e reale. Come ha scritto Michele Smargiassi su «la Repubblica»: «Niente salotti, i dibattiti sono conference call con tre o quattro schermini in fila che si ingrandiscono quando uno parla. Ma è l’estetica Skype o Facetime, ed è familiare a milioni di persone. Comunica il messaggio: “Adesso l’informazione sei tu”».
E l’atteggiamento umorale? E il tasso di emotività? Da dove vengono e chi li ha provocati? Indubbiamente lo stile web ha giocato la sua parte (sulla Rete si comunica senza tanti complimenti, è molto facile che volino gli insulti), ma è pur sempre uno stile che riguarda una fetta ristretta di persone. La grande singolarità nasce ancora una volta dalla tv generalista. Mai come in queste ultime elezioni i conduttori – da Santoro a Floris, da Vespa a Del Debbio, a Formigli – si sono comportati da “sovrani irresponsabili” del loro regno mediatico, hanno ambito al ruolo di movimento d’opinione. Per fare questo hanno dovuto abbassare il tasso di assennatezza e alzare quello di emozionalità. Qualcuno comincia a sostenere, per esempio, che una trasmissione come Quinta Colonna, creata apposta su Retequattro per favorire l’ennesima discesa in campo di Berlusconi, a furia di titillare gli umori della piazza, abbia involontariamente favorito il successo di Grillo. Del resto, anche il mondo della comunicazione, come quello della politica, vive di grandi paradossi.
* Rispettivamente docenti di Storia della televisione e di Storia dei media alla facoltà di Scienze linguistiche. L’articolo è apparso integralmente sul numero 2/2013 del bimestrale dell’ateneo “Vita e Pensiero” in uscita nella maggiori librerie italiane