Un numero crescente di politici, analisti e studiosi lo considera uno strumento datato e, per certi versi, inesatto, perché non sempre in grado di misurare la reale “ricchezza” di un Paese. Il Prodotto interno lordo (Pil) è tornato al centro del dibattito internazionale, anche in seguito al rapporto Misurazione dei risultati economici e del progresso sociale, che il presidente francese Nicolas Sarkozy ha affidato a una commissione coordinata dai premi Nobel Joseph Stiglitz e Amartya Sen e dall’economista francese Jean-Paul Fitoussi. Esistono indicatori del benessere alternativi al Pil? Ed è il caso di cercarli nel pieno di una crisi economica? Sono questi gli interrogativi ai quali hanno cercato di rispondere i relatori del seminario: Oltre il Pil. Verso una nuova statistica del benessere, che si è tenuto lunedì 28 giugno nella Sala Negri da Oleggio dell’Università Cattolica di Milano. Al dibattito, promosso dalla Scuola di dottorato di Politica economica, in collaborazione con l’Alta Scuola per l’Ambiente, hanno partecipato Enrico Giovannini, presidente dell’Istat - e unico italiano presente nella commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi -, Stefano Pareglio, docente di Economia ambientale all’Università Cattolica, Maurizio Baussola, preside della facoltà di Economia della sede piacentina dell’Ateneo del Sacro Cuore Luigi Campiglio, prorettore dell’Università Cattolica, ed Enrica Chiappero-Martinetti, docente di Economia politica all’Università di Pavia e allieva dell’economista Sen.
«Il disagio nei confronti del Pil e la misurazione del progresso è in circolazione fin dai tempi di Tobin», ha detto il prorettore Campiglio, che proprio di recente al tema del prodotto interno lordo ha dedicato l’articolo dal titolo: Il Pil senza qualità: forse è ora di cambiare, pubblicato nell’ultimo numero della rivista Vita e Pensiero (3/2010). In realtà, come ha osservato il professor Pareglio, i cittadini europei si sentono poco rappresentati dagli indicatori statistici. «Ecco perché le modalità di espressione di questi strumenti devono cambiare: per avere una migliore politica servono anche migliori misure. Forse è indicativo che la discussione sul superamento del Pil avvenga proprio in un momento come quello attuale in cui si avverte l’esigenza di trovare la bussola per uscire dalla crisi».
«Eppure il Pil non va distrutto. Bisogna solo cambiare prospettiva», ha sottolineato il presidente dell’Istat. Che ha aggiunto: «Discutere di indicatori statistici deve servire a discutere dei fini ultimi che le società vogliono raggiungere. Quello che il rapporto Stiligtz-Sen-Fitoussi pone sotto la definizione di benessere equo e sostenibile». Ma come si fa a misurare il progresso sociale? Vi sono tre modi: l’estensione del sistema dei conti nazionali ai fenomeni sociali e ambientali, gli indicatori composti e gli indicatori chiave. Tuttavia, una volta stabilite le dimensioni del progresso, occorrono altre informazioni per costruire una valutazione condivisa. Secondo Giovannini è fondamentale promuovere presso la società civile l’importanza di adeguati investimenti nei sistemi statistici e per Baussola si tratta di una tematica trasversale, che, oltre a economisti e statistici, coinvolge politici e società civile. D’altra parte, ha osservato il professor Campiglio, vi sono ormai diversi segnali che la dicono lunga sul fatto che il fiume carsico delle misure parallele al Pil sia uscito dalla fase avventurosa per sfociare in mare aperto, acquistando diritto di cittadinanza nella cittadella della persuasione. Lo testimonia il fatto che lo stesso documento di Relazione unificata economia e finanza pubblica - Ruef include una specifica sezione sulle nuove misurazioni del benessere. Un passo inevitabile visto che in un’economia moderna gli obiettivi socialmente desiderabili sono molteplici e soltanto in parte riconducibili al livello e alla crescita del Pil. «Quest’ultimo, infatti, non consente di valutare congiuntamente la qualità dei beni e dei servizi e la qualità della vita di chi li produce e li consuma: se considerato in modo esclusivo, il Pil è una grandezza economica svuotata della dimensione qualitativa e personale di coloro che utilizzano, o subiscono – come accade per i beni pubblici – i beni e servizi prodotti». Di qui la necessità di un nuovo approccio, a cui l’Istat potrebbe dare un rilevante contributo. Un approccio, ha notato Enrica Chiappero-Martinetti, che rappresenta un cambiamento di paradigma radicale. «L’idea è di non fermarsi al Pil: con tutta la cautela del caso, altri indicatori per misurare l’effettivo benessere di una popolazione si possono e si debbono ricercare».