Bombardati di informazioni. Senza più limiti nell’accesso alle notizie, a cui attingere in tempo reale. E spesso senza intermediazione giornalistica. Ma questo ci rende davvero più informati? E di conseguenza, più liberi? È da questi interrogativi che ha preso vita il dibattito tra Nando Pagnoncelli, amministratore delegato di Ipsos, e Giorgio Simonelli, scrittore, conduttore televisivo e radiofonico e docente di Storia della radio in Cattolica, che il 21 ottobre, intervistati dal direttore del quotidiano “Libertà” Gaetano Rizzuto, sono intervenuti nella sede piacentina all’incontro organizzato dall’ateneo grazie al contributo dello Studio commercialista dottor G. Avella.
Un tema attuale quello del modo in cui si formano le nostre opinioni sulla base delle informazioni che riceviamo. Soprattutto in questi anni di bulimia comunicativa, che ha reso i cittadini sempre più convinti di essere attori consapevoli e informati. Ma il dubbio che sia davvero così resta. «Da una parte aumenta l’offerta delle informazioni: oggi è quasi impossibile non essere informati, ma mentre cresce il numero delle persone informate diminuisce il livello di consapevolezza perché manca l’approfondimento», afferma Pagnoncelli lanciando un allarme sulla superficialità del modo in cui ci si informa. «Siamo di fronte a cambiamenti rilevanti - prosegue –: il fatto che calino i quotidiani (4,5 milioni di vendite al giorno, lo stesso numero del 1939) non è irrilevante, soprattutto considerando che all’epoca c’erano meno persone e un più basso livello di alfabetizzazione». Secondo il Ceo di Ipsos la carta stampata negli ultimi anni ha cercato di imitare in malo modo il web, ma con scarso successo, così che quando acquistiamo il giornale abbiamo la sensazione che le notizie siano già vecchie.
La risposta alla domanda su come ci si informa arriva poi dal professor Simonelli. «La percezione del mondo, a partire dagli anni Ottanta, è una soprattutto televisiva. I nostri modi di conoscere e interpretare la realtà sono dipendenti dalla tivù, anche quando la conoscenza di un evento non giunge a noi attraverso questo mezzo». Un’affermazione confermata dall’analisi della dieta mediatica degli italiani che emerge dai dati Censis pubblicati l’11 ottobre: la televisione resta regina dell'informazione, anche se cresce il valore di internet, percepito come un mezzo più libero e disinteressato. Sempre in calo, invece, le vendite dei giornali. Il 90.4 degli italiani tra i 14 e i 29 anni è un utente di Internet. L’84.4% di questo segmento si collega quasi tutti i giorni. Gli italiani tra i 14 e i 29 anni sono 9,7 milioni. Il 44.6% di loro non legge più notizie dalla carta stampata.
Televisione e radio restano saldamente centrali. La prima è uno strumento utilizzato dal 97.4% degli italiani (+1% rispetto al 2007), la radio dall’82.9% (+5 punti in sei anni). Nello stesso intervallo di tempo, i lettori dei quotidiani è sceso del 20%. I quotidiani a pagamento hanno perso un quarto dei lettori. Persino i lettori dei quotidiani online sono calati dal 2007 a oggi.
I relatori, guidati dal direttore Rizzuto, hanno poi sottolineato come l’ampliamento esponenziale dei mezzi e degli strumenti di informazione (non solo internet, ma anche free press, radio e tv all news e così via) sono il segnale di un mondo che si evolve, di relazioni tra utente e strumenti che si modificano. E che danno vita anche a processi di disinformazione: ognuno di noi tende a farsi un “palinsesto” personalizzato, fruisce di web, tv, radio, giornali con tempi sempre più rapidi nella netta convinzione che più sono gli strumenti a cui abbiamo accesso più l’informazione sia vera.
Paradossalmente non è così. Siamo più informati ma meno consapevoli: se è vero che tv e web sono sempre più importanti, è anche vero che il loro linguaggio, fatto di immagini e velocità, trascura inevitabilmente l’approfondimento. E anche Internet, che propone informazioni in tempo reale e ha dato vita ai social network, è diventato uno strumento straordinario nella formazione delle opinioni: il sistema da top-down è diventato orizzontale. Ma con il potere cresce la responsabilità. E spesso l’uso di questa libertà di espressione è perlomeno improprio. Paradossalmente su questi canali emerge soprattutto l’opinione dei più “arrabbiati”, amplificando commenti livorosi ed esprimendo indisponibilità al dialogo.
Conseguenze: quello che penso io lo pensano tutti. Due sono le principali conseguenze di questa evoluzione: lo sbilanciamento dei contenuti dell’informazione a favore della negatività e della disintermediazione e la confusione della parte con il tutto. Si pensa cioè che ciò che si dice sia l’opinione di tutti, ma ovviamente non è così. Il rischio è quindi di far prevalere il pregiudizio sul giudizio, di trascurare l’approfondimento, di percepire la realtà in modo parziale. Maturando così opinioni non consapevoli.
Al termine del convegno Giuseppe Avella ha consegnato le borse di studio “Studio dottor G. Avella” alle due studentesse meritevoli della laurea magistrale in Gestione d’azienda della facoltà di Economia e Giurisprudenza, Silvia Corradi e Valentina Lamoure per “manifestare la presenza dello studio nell’ambito sociale, oltre che in quello professionale, nell’ottica di supportare le giovani generazioni che sempre più necessitano di una preparazione specialistica adeguata per affrontare con successo il mondo del lavoro”.