Dopo il Salotto letterario, inaugurato con la poetessa Patrizia Valduga, ha preso il via una seconda iniziativa ispirata da Giuseppe Langella, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea in largo Gemelli. Stiamo parlando della Vetrina letteraria: luogo di dialogo e discussione informale con gli autori, secondo la migliore tradizione dei Caffè organizzati per anni presso il bar Santa Valeria, ma con un valore aggiunto, rappresentato dai libri ancora freschi di stampa che di volta in volta verranno presentati e segnalati all’attenzione del pubblico di studenti e ospiti esterni.
Nata in collaborazione con la libreria “Vita e Pensiero”, anche la Vetrina è stata tenuta a battesimo, mercoledì 30 novembre, da un poeta d’eccellenza: Silvio Ramat, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università degli Studi di Padova. Una carriera artistica, la sua, cominciata nel 1959 con Le feste di una città e culminata nel 2006 con la pubblicazione, presso Interlinea, del volume che ne raccoglie Tutte le poesie (1958-2005). Un momento di sintesi che non ha messo alcun punto fermo sulla carriera del poeta, come dimostrano il successivo Canzoniere dell’amico espatriato (Viennepierre 2009), dedicato al tema dell’amor senile, e i libri ora presentati nella Vetrina: Banchi di prova (Marsilio) e La buona fede (Moretti & Vitali).
In entrambi, largo spazio viene riservato alla memoria: Ramat, classe ’39, gioca sulla propria età e li definisce «libri che si poteva scrivere solo da anziani». È questa finalmente l’occasione per tributare un omaggio ai «maestri ineguagliabili» che, ventenne, aveva incontrato nella Firenze post-ermetica, e agli amici che non ci sono più: da Bartolo Cattafi a Luciano Erba, da Giuseppe De Robertis a Mario Luzi: a loro è dedicata una sezione della Buona fede intitolata Aneddoti e compianti. Il libro è però molto altro, come sottolineano i professori Enrico Elli e Giancarlo Pontiggia: un’opera originale che fonde saggi critici, autobiografia intellettuale e dimensione privata, prose e poesia. In cui la “buona fede” del titolo rappresenta un grande esercizio di fedeltà alla letteratura e alla parola, intesa nel suo valore civile e declinata con semplicità e naturalezza.
Ramat è infatti un maestro dell’antiretorica e dell’ironia alta: ne dà dimostrazione anche nel “racconto in versi” Banchi di prova, interpretato dal professor Langella come un romanzo di formazione nel quale i “banchi” sono sì quelli di scuola, ma assieme la metafora di tutte le prove cui ci sottopone la vita. Il poeta qui si racconta risalendo ai primi anni della giovinezza, da quando impara l’alfabeto al momento in cui ottiene il ruolo di ricercatore universitario: sessanta “canti” in endecasillabi sciolti che fluiscono come una prosa, complice un linguaggio ridotto spesso al grado zero e una perizia estrema nella costruzione del verso e del periodo. La crescita del poeta, ragazzo di periferia dalla salute cagionevole, è narrata come uno scontro con la cultura e la scuola, tra accettazioni e rinunce, fino al punto di arrivo che sancisce un equilibrio tra aspirazioni e realtà del mondo. Un ampio spazio, in questa prima Vetrina, è stato dedicato da Ramat alla lettura delle poesie: menzioniamo almeno Col cielo di questa città, ricordo di una visita milanese all’Università Cattolica, Camelia, scritta in morte di Mario Luzi, e Abbagli, divertente resoconto delle proprie pecche scolastiche. Il pubblico, numeroso, ha accolto con interesse l’intervento di un poeta che, fingendosi anziano, ha saputo risvegliare il piacere degli errori di gioventù, degli intoppi e degli incontri che aiutano a crescere.