di Federica Liparoti
Il traffico illecito dei beni culturali mobili costituisce una delle più gravi forme di aggressione al patrimonio storico e artistico dell’umanità intera: la sottrazione, l’esportazione e l’importazione illegali di tali beni sono, infatti, una delle maggiori cause della dispersione del patrimonio culturale globale. Questo fenomeno in continua espansione desta nella comunità internazionale particolare allarme a causa delle potenziali connessioni con il crimine organizzato e del collegamento con illeciti quali il riciclaggio di denaro sporco e la corruzione internazionale di pubblici funzionari.
Quali sono dunque le strategie adottate a livello nazionale e internazionale per preservazione del patrimonio storico e artistico minacciato da tali condotte? Questo il tema del Seminario di studi tenutosi lo scorso 29 ottobre dal titolo “La circolazione illecita dei beni culturali mobili. Risposte penali ed extrapenali a confronto”, organizzato dall’International Scientific and Professional Advisory Council of the United Nations Crime Prevention and Criminal Justice Programme (Ispac) in collaborazione con il Centro Studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale (Csgp) e con il Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale (Cnpds).
Il Seminario si è aperto con i saluti del preside della facoltà di Giurisprudenza e direttore del Csgp Gabrio Forti che ha posto l’accento sull’approccio multidisciplinare del Seminario, evidenziando l’importanza del confronto tra prospettiva penalistica, internazionalistica, civilistica e amministrativistica in tema di contrasto alle aggressioni al patrimonio culturale.
La prima sessione, presieduta da Carla Barbati, docente di Diritto amministrativo della Libera Università di Lingue e Comunicazione - Iulm, si è aperta con l’intervento di Vittorio Manes, professore di Diritto penale nell’Università del Salento, che ha analizzato i profili di diritto penale sostanziale della circolazione illecita dei beni culturali, sottolineando punti di forza e criticità del modello di ‘divieto con riserva di permesso’ (in base al quale l’esportazione di beni culturali mobili è in generale vietata, risultando concedibile solo in particolari casi) adottato nell’ordinamento italiano, ed evidenziando i punti di contatto tra questo fenomeno criminale e le condotte di money laundering: entrambi reati transnazionali che afferiscono a un contesto lecito di base, traffico di opere d’arte e riciclaggio non solo sono strettamente legati al white collar crime, ma anche al crimine organizzato. Tanto più necessaria appare, quindi, un’armonizzazione internazionale in materia e l’inclusione di tali condotte nel catalogo dei cosiddetti ‘eurocrimini’, previsti dall’art. 83 del Tfue, in relazione ai quali l’Unione Europea può adottare direttive contenenti norme minime di diritto penale.
La riflessione sulla dimensione transnazionale del fenomeno in esame ha occupato un ruolo centrale anche nell’intervento di Luca Luparia, professore di Diritto processuale penale dell’Università degli Studi di Milano, che ha posto l’accento sul ruolo cruciale svolto dalla cooperazione tra le autorità di polizia e giudiziarie dei Paesi coinvolti e sulla necessità di un’implementazione di tali pratiche, oltre che sulla dimensione spesso organizzativa e “d’impresa” di tali illeciti, che potrebbe suggerirne l’inserimento tra i reati-presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ex d.lgs. n. 231/2001.
L’analisi della disciplina penalistica in materia si è chiusa con l’intervento di Arianna Visconti, ricercatore di Diritto penale e membro del Csgp, relativo alle fonti internazionali. Malgrado dal secondo dopoguerra si riscontri nella comunità internazionale un’attenzione sempre crescente per la tutela del patrimonio culturale, le convenzioni internazionali prevedono generalmente un ricorso del tutto marginale al diritto penale, oltre a doversi confrontare con non facili problemi definitori dell’oggetto della tutela. Il diverso atteggiamento di Stati-fonte e Stati-mercato dei beni culturali sembra costituire il principale freno allo sviluppo di politiche criminali più incisive a livello internazionale, anche se in anni recenti organismi come l’Ecosoc e l’Unodc hanno espresso un forte impegno nel contrasto al traffico di opere d’arte, esplorando, tra l’altro, la possibilità di utilizzare la Convenzione di Palermo contro il crimine organizzato anche su questo fronte.
Gli interventi successivi hanno dato ampio spazio agli aspetti extra-penali della materia. Manlio Frigo, professore ordinario di Diritto internazionale presso l’Università degli Studi di Milano, ha analizzato alcuni degli strumenti internazionali più promettenti sul fronte della restituzione dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, tra cui convenzioni bilaterali tra Paesi art-importing e art-exporting, modelli condivisi di codici etici o di condotta per case d’aste e istituzioni culturali (come ad esempio il Codice etico dell’Icom per i musei) e negoziati tra Stati e istituzioni private, che in anni recenti hanno spesso permesso, oltre al recupero di importanti opere d’arte rubate, l’instaurazione di proficui rapporti di cooperazione culturale a lungo termine tra Stati ed enti stranieri.
Mario Savino, professore di Diritto amministrativo presso l’Università della Tuscia, nell’affrontare le prospettive amministrativistiche è tornato sul tema dei contrapposti interessi di Paesi-fonte e Paesi-mercato, esplorando la possibilità di un diverso equilibrio tra esigenze di tutela dei patrimoni culturali nazionali e rispetto del principio della libera circolazione delle merci anche in relazione a questi particolari beni. Infine, Alessandra Donati, ricercatore confermato di Diritto privato comparato nell’Università degli Studi di Milano Bicocca, ha illustrato le specificità, anche sul piano civilistico, della circolazione delle opere d’arte, legate alla particolare natura di tali beni che, anche nel caso in cui siano di titolarità privata, assumono un rilievo pubblicistico per il carattere di culturalità che li rende particolarmente meritevoli di tutela.
Il seminario di studi si è chiuso con una sessione dedicata alla tutela dei beni culturali nella prassi, che ha visto gli interventi di Sandrina Bandera, soprintendente per i Beni artistici, storici e antropologici di Milano e direttrice della Pinacoteca di Brera, Paola Guidi, giornalista recentemente impegnata in un’inchiesta sul recupero dei beni archeologici illecitamente sottratti alla Cina, Andrea Ilari, Capitano presso il Comando Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri, che, insieme con il Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico della Guardia di Finanza, la cui attività è stata illustrata dal Comandante Massimo Rossi, rappresenta un’eccellenza e un modello a livello internazionale nel recupero delle opere d’arte rubate o trafficate.
Nella sua relazione conclusiva, Stefano Manacorda, professore di Diritto penale nella Seconda Università di Napoli, vice presidente e direttore dell’Ispac, ha evidenziato come il raffronto tra le diverse prospettive toccate nel corso dell’incontro sia particolarmente importante, e anzi indispensabile, in un settore come quello della circolazione dei beni culturali dove l’intervento penalistico è più che mai strettamente legato, da un lato, al rilievo costituzionale del patrimonio culturale, e dall’altro alla complessa legislazione civilistica e amministrativistica in materia, di rimandi alla quale sono intrise, nella descrizione del fatto tipico, la maggior parte delle fattispecie penali del Codice dei Beni Culturali.