di Velania La Mendola *
Il logo che campeggia sulla copertina del primo numero della rivista “Vita e Pensiero” non passa inosservato: più che una marca tipografica è un fregio che orna la parte inferiore della “Rassegna italiana di coltura”, voluta da padre Agostino Gemelli e da lui fondata il 1° dicembre del 1914. Era stato infatti concepito in origine come un elemento ornamentale della rivista, per diventarne poi, ma fino a tutto il 1916, logo ufficiale.
Tre colombe, due dalle ali spiegate e una più schiva, sono posate sull’orlo di un bacile, colte nel momento in cui si abbeverano. Chiaro il rimando alla cultura come fonte da cui dissetarsi. Più particolare la scelta delle colombe, tradizionale simbolo di pace, se si pensa che era in corso da qualche mese la Prima Guerra Mondiale. La rivista nasce quindi con un ramoscello di ulivo in bocca, tra le tempeste della guerra (non a caso doveva essere “agile e battagliera”, secondo le parole di Guido Aceti) e con l’intento di diventare fonte di sapere del pensiero cattolico.
Ai lati delle colombe, degli svolazzi simmetrici incorniciano l’immagine arcadica, tutta compresa in una vignetta rettangolare che recinta anche la firma dell’autore: Giuseppe Grondona. Ma chi era costui? «Un acquafortista lombardo, attivo nella prima metà del secolo XX», recita stringatamente il Dizionario illustrato degli incisori moderni e contemporanei, eppure il personaggio non è così facilmente liquidabile per la storia della rivista.
Lo ritroviamo infatti tra le pagine dei primi numeri di “Vita e Pensiero” come critico d’arte, autore di svariati articoli accomunati da un’ideologia di fondo: «Noi pensiamo che se i credenti [...] invece di rassegnarsi a certe deplorevoli produzioni sacre fornite dalla moderna industria, si avvicinassero ed incoraggiassero un poco i nostri artisti, questi si sentirebbero spinti ad attingere vita al pensiero religioso», scrive nel dicembre 1915, rimandando al titolo della rivista come a un’ermeneutica dello sguardo.
Dimostra un interesse culturale per quanto avveniva oltre i confini nazionali la breve, ma intensa, corrispondenza che Grondona intrattiene per la rivista con Maurice Denis, il celebre pittore e teorico del gruppo parigino dei Nabis, insieme a Pierre Bonnard e Paul Sérusier, ovvero di quella corrente d’avanguardia post-impressionista che non a caso, visto il legame con il nostro, prediligeva l’espressione interiore alla descrizione di un paesaggio.
Grondona scrive a Denis nel 1917 perché vorrebbe dedicargli un articolo su “Vita e Pensiero” e gli chiede di segnalargli «i punti salienti del suo lavoro e dove maggiormente si cela quella vista spirituale che ha informato la sua creazione». L’articolo verrà pubblicato sulla rivista nel 1918 ricevendo diversi elogi della parte francese (come quello di Henry Cochin), tanto che Grondona chiede a Denis di poter tradurre un suo articolo sullo stato dell’arte religiosa in Francia «at aussi expliquer dans Vita e Pensiero [...] quelque chose de la Société de Saint Jean», che promuoveva e incoraggiava l’arte cristiana.
Denis è abbastanza disponibile ma si offende terribilmente per le modifiche sul testo tradotto che Grondona gli sottopone per approvazione. Le arbitrarie aggiunte sono ritenute “inopportune” dal pittore francese: Grondona si risente a sua volta e così la corrispondenza giunge bruscamente alla conclusione.
Ma al di là delle scaramucce d’Oltralpe, Grondona, il cui nome è legato anche a un volume di Ugo Nebbia su Milano, resta per la rivista l’incisore del suo primo simbolo, di quelle colombe che compariranno, sempre portatrici di pace, ma sfrondate di ogni svolazzo, anche sulla prima pubblicazione promossa dalla rivista prima della fondazione ufficiale della casa editrice nel 1918. Non vi stupisca il titolo: Il Salterio del soldato. Appunto.
Si ringrazia la dottoressa Alessia Alberti per la gentile collaborazione