Quanto costa ogni anno la violenza sulle donne? Circa 17 miliardi, se consideriamo la somma complessiva ottenuta fra costi diretti sostenuti dalla collettività e il risarcimento simulato dei danni fisici e morali delle vittime. Fra le righe di questi valori ben 460 milioni vanno in spese sanitarie e 158 in quelle psicologiche. «L'impatto economico di questi fenomeni è analogo a quello del cancro, bisognerebbe parlarne con la stessa forza». Lo sostiene Anna Maria Fellegara (nella foto sotto), preside della facoltà di Economia e Giurisprudenza della sede di Piacenza dell’Università Cattolica e presidente del comitato scientifico della ricerca "Quanto costa il silenzio?" (Intervita, Milano, 2013). Lo studio, presentato il 21 novembre a Roma, mira a provocare una presa di coscienza collettiva e a cercare risposte politiche, come spiega la professoressa che abbiamo intervistato.
Il primo problema nel rilevare i costi di un fenomeno in larga parte sommerso è innanzitutto di metodo. Come vi siete mossi?
«In altri paesi c'è una tradizione abbastanza consolidata di analisi di questo tipo: esiste una base di modelli teorici già praticati da cui la nostra ricerca è partita. Il dato di partenza per calcolare il numero di violenze viene dall'Istat, che nel 2006 ha intervistato 25mila donne fra i 16 e i 70 anni fotografando la situazione. Abbiamo ponderato quel dato aggiungendovi la componente, allora esclusa, di violenze su donne straniere. E siamo arrivati ad analizzare i costi economici corrispondenti ai vari tipi di violenza emersi dalle statistiche».
Come li avete calcolati?
«Ciascuno di questi atti violenti ha diverse conseguenze in ordine di costi e di danni. Abbiamo cercato di stimare un valore economico standard per ognuna di queste violenze. La metodologia è abbastanza precisa, ma a noi interessava soprattutto offrire un primo dato su cui riflettere».
Applicare una prospettiva economica a un argomento come il femminicidio è una scelta ardita. Non si rischia di semplificare la complessità del fenomeno? I costi sanitari sostenuti per un omicidio sono inferiori rispetto a quelli conseguenti a delle percosse…
«Il nostro vuole essere un punto di partenza. L'indagine è circoscritta alle conseguenze economiche perché potrebbero essere evitate qualora non ci fosse questa piaga sociale: vogliamo quindi dimostrare che investire nella prevenzione conviene».
La gravità dell'argomento non è superiore al suo costo?
«Prescindere sempre dal discorso economico impedisce l'acquisizione di uno strumento utile a definire un’azione di contrasto. Se un fatto è talmente incommensurabile da non poterlo nemmeno rappresentare sotto forma di un numero diventa, nella nostra convinzione, quasi ineludibile».
Fare analisi quantitative è stato anche un modo per dare al tema una maggiore incisività d'indirizzo alla politica?
«Era nostra intenzione fare pressione anche sul decisore della spesa pubblica, ma non solo. Anche perché i costi sanitari sono a carico delle Regioni. Non c'è pertanto un solo destinatario».
Nella ricerca si parla di spese sostenute in investimenti per la prevenzione delle violenze, a vostro parere dovrebbero aumentare?
«L'Ong che ha commissionato la ricerca, Intervita, intendeva promuovere una sensibilizzazione su questo tema e anche attivare una raccolta di fondi. Nella prevenzione si lavora innanzitutto sul contesto familiare, pensiamo all'educazione dei bambini. Quanto alle donne si dovrebbe investire sulla rete dei centri anti-violenza, e in generale parlare con ogni mezzo del fenomeno. Anche i maschi maltrattanti sono persone che avrebbero bisogno di aiuto e questo è un altro lato carente».