Il prossimo 4 febbraio Facebook spegnerà le sue prime dieci candeline. Se per la natura umana è un bambino, per il mondo del web, se non è trascorsa un'era geologica poco ci manca. Molte volte protagonista nei casi di cronaca, spesso osteggiato e visto con sospetto, la creatura di Mark Zuckerberg resta il social più amato dagli italiani. Educazione, politica, società, lavoro: tutti i campi della nostra vita, dei nostri amici e dell'ambiente che ci circonda hanno a che fare, in un modo o nell'altro, con Facebook e, più in generale, con ciò che avviene sul web. Quest'ultima frase, a dire il vero, è impropria. Perché Facebook, e il web, ormai non sono più (se mai lo sono stati) un'isola separata dalla realtà ma ne fanno parte a tutti gli effetti. Di tutti questi aspetti si è discusso venerdì 27 settembre durante la tavola rotonda “10 anni con Facebook: italiani e social network nel racconto dei media” che ha chiuso il convegno “Cosi vicini, così lontani. La via italiana ai social network” moderato da Giovanni Boccia Artieri (Università di Urbino), coordinatore nazionale del progetto.
MEDIA. «Gli approcci con cui i media raccontano Facebook e più in generale i fenomeni che si sviluppano sul web – secondo Massimo Russo, direttore di Wired Italia - sono sostanzialmente due: il primo è quello dello “Strano, ma vero” che ci ha regalato la proliferazione dei “gattini” nei tg da diversi anni. In questo filone rientrano i filmati di YouTube che ormai sono un classico del palinsesto delle tv generaliste. La seconda è quella dell’allarme che, ciclicamente, colpisce vari soggetti: la Rete in generale, i pc infetti e i danni che possono provocare, la blogosfera, i social network e iFacebook. Ultimamente però - ha aggiunto Russo - va riconosciuto che anche i media si stanno rendendo conto che questo allarmismo suona un po’ ridicolo visto che stiamo parlando di un qualcosa che ormai fa parte della vita quotidiana di 23 milioni di persone, significherebbe allarmarsi perché ci sono le città o esistono i frigoriferi...».
Un concetto che in fondo è un tema ricorrente nelle relazioni umane: la paura di ciò che non si conosce, di cui non si ha il pieno controllo, il fattore esterno che irrompe come novità e quindi come minaccia alle nostre sicurezze. «Una cosa che cerco di stigmatizzare sempre – ammonisce Barbara Sgarzi, giornalista di Vanity Fair ed esperta in social media - è quella di dare sempre la colpa delle situazioni negative a un soggetto esterno: il fiume è killer, la montagna è assassina e Facebook è cattivo. In quest’ultimo caso specifico, per quanto riguarda le spinose questioni legate alla privacy e ai dati personali, abbiamo un’arma per difenderci: i termini del servizio. Che non leggiamo mai. E allora di chi è la colpa?»
EDUCAZIONE. Secondo Giuseppe Granieri, blogger e autore di numerosi saggi sul tema, «Facebook, analizzato in una prospettiva storica, ha rappresentato per l’Italia un grandissimo driver che ha avvicinato al web, e continua a farlo, moltissime persone che normalmente non si sarebbero interessate alla Rete, garantendo una maggiore alfabetizzazione digitale degli italiani. Un processo indotto e senza reale comprensione perché la velocità con cui tutto accade non è supportata dal sistema educativo, da quello universitario e dai media stessi».
«Anche se - ha ricordato il giornalista di Radio24 Simone Spetia – alla fine, per quanto riguarda l’alfabetizzazione digitale in Italia pesa in modo decisivo il ritardo delle infrastrutture».
POLITICA. «L’impatto è forte – ha proseguito Spetia nel suo intervento - ed è in qualche misura un cambiamento della base elettorale e della base di consenso soprattutto per questa generazione di politici e per questo Parlamento che è composto in larga misura di giovani. E’ un nuovo modo per interagire, innanzitutto per trovare consenso. Un nuovo modo di controllo da parte di chi vota, da parte dei cittadini sui propri politici che però non è quello che immagina il M5S e che non ha ancora realizzato e che è la morte dell’assenza del vincolo di mandato. E’ solo una sorta di possibilità di verifica quotidiana su quello che fa il tuo parlamentare, il politico di riferimento».
SOCIETA’. Secondo Granieri «Facebook con la sua capacità di condividere l’immagine umana delle persone è andato a colmare un bisogno. Un bisogno molto importante nello sviluppo della grammatica che la Rete ci sta abituando a dover codificare. Il social network infatti sta lavorando molto in più fretta dei media e delle istituzioni: Facebook sta cambiando i media più di quanto i media siano in grado di raccontarlo. Pensate solo alla timeline, la novità più dirompente degli ultimi dieci anni della Rete: sta sostituendo nella testa delle persone la gerarchia delle news che prima dettavano i giornali. Oggi noi ci interessiamo di notizie che magari non passerebbero mai sui media tradizionali come un’esperienza personale, il viaggio di un amico, la recensione di un libro ovvero tutta una serie di informazioni che fanno parte della nostra vita quotidiana. Insomma, la gerarchia delle notizie viene disegnata sempre più da Facebook. Il paradosso di questa operazione è che i grandi giornali stanno scoprendo che i loro accessi non derivano dalla qualità delle loro homepage bensì dalle condivisioni sulle timeline dei lettori. Questo sposta tantissimo, ed è su questo che dobbiamo riflettere, la responsabilità della presenza mediale sul singolo e non più sul brand, sull’istituzione che rappresenta, sulla testata e cosi via…».
«Le cose non sono mai uguali – ha ribattuto Fausto Colombo, docente di Teoria della Comunicazione e dei Media della facoltà di Scienze Politiche e Sociali - sono profondamente cambiate. Facciamo le stesse cose sì, ma in un contesto che si è radicalmente trasformato perché l’evoluzione sociale porta a un cambiamento complessivo delle nostre pratiche. La grande trasformazione - ha aggiunto il docente della Cattolica - è il modo in cui viene continuamente mercificata l’espressione dell’identità in cui i nostri dati diventano denaro per qualcun altro, in cui il business collettivo è cambiato. Noi usiamo Facebook ma è anche vero che Facebook usa noi. Ci piace questo sistema? Sì, è sicuramente più evoluto ma non va mai dimenticato che i dati che noi immettiamo per partecipare, discutere, informarci e divertirci vengono utilizzati in un modo che spesso sfugge a volte radicalmente al nostro controllo, non da istituzioni politiche ma da soggetti economici che hanno meno vincoli».
E di cui però gli italiani, secondo quanto emerso dai primi risultati della ricerca del Prin - Relazioni sociali ed identità in Rete: vissuti e narrazioni degli italiani su Facebook presentata in questa due giorni, sono decisamente più consapevoli. Da quanto raccolto risulta infatti come, contrariamente a quanto lasciato intendere da molti luoghi comuni gli italiani conoscano i rischi solitamente invocati quando si parla di privacy – sorveglianza, furto d’identità, sfruttamento dei dati personali – ma non se ne curano troppo perché percepiti come minacce astratte, troppo distanti dai loro vissuti quotidiani. Al contrario si dimostrano più interessati a gestire strategicamente la propria identità privata in pubblico attraverso un sapiente gioco di chiusura e apertura di sé che cambia a seconda della cerchia di amici a cui di volta in volta si ci rivolge.
LAVORO. Facebook infatti è anche una nuova frontiera, forse ancora troppo sottovalutata, in ambito occupazionale. «Le giovani generazioni – ricorda la Sgarzi - devono capire che la reputazione on line non è una parte staccata della realtà. Il 12% dei recruiter va a guardare i profili online e soprattutto la corrispondenza tra quello che scriviamo nel cv e quello che facciamo sul web, la personalità in Rete deve essere coerente con la nostra vita, con la nostra personalità».