Un anziano navigante al centro della navicella gremita di uomini, più un orso, che indossano una maschera. Bill Reid nel 1985 ha intitolato la scultura esposta a Vancouver “The Spirit of Haida Gwaii: the Jade Canoe”. È la rappresentazione del presente che per esistere deve fare memoria del passato tornando alle radici. E le maschere, invece di nascondere, rivelano che attraverso il rituale si riscopre la relazione tra l’oggi e l’ieri, tra le generazioni presenti e quelle passate, a dire che all’origine di tutto è il “sacro familiare”. Con questa immagine Vittorio Cigoli ha raccontato il fil rouge delle relazioni familiari come sono state osservate, studiate, comprese dagli psicologi dell’Università Cattolica in vent’anni di studio del modello relazionale-simbolico.
A celebrare questo lungo percorso, che continua a dipanarsi grazie al Centro di Ateneo “Studi e ricerche sulla famiglia” e all’Alta Scuola di Psicologia “Agostino Gemelli”, è stata la due giorni Il “famigliare” tra ricerca e intervento. Il modello relazionale-simbolico, che si è tenuta lo scorso 26 e 27 ottobre. Due sono i maestri che hanno raccolto tanta gratitudine e scroscianti applausi e che hanno guidato fino a oggi gli studi di queste due istituzioni all’interno dell’Ateneo: Eugenia Scabini, docente di Psicologia sociale dei legami familiari alla facoltà di Psicologia, di cui è stata preside, e direttore del Centro dal 1979 al 2011; e Vittorio Cigoli, docente di Psicologia clinica delle relazioni di coppia e di famiglia presso la stessa facoltà e direttore dell’Alta Scuola di Psicologia.
Insieme hanno collaborato, a partire dai primi anni Ottanta, a creare la collana, oggi arrivata al 25esimo volume, degli Studi interdisciplinari sulla famiglia che danno voce a psicologi sociali e clinici, sociologi, con il contributo della demografia, della filosofia, della storia, dell’economia, per indagare le tematiche legate alla famiglia con una modalità nuova per quegli anni, rappresentata dalla prospettiva intergenerazionale che diventerà una categoria distintiva della riflessione culturale e scientifica del Centro di Ateneo. E insieme hanno scritto il volume Alla ricerca del famigliare. Il modello relazionale-simbolico, edito da Cortina e pubblicato proprio in occasione del convegno internazionale.
L’apertura dei lavori, dopo una breve introduzione di Albino Claudio Bosio, preside della facoltà di Psicologia, è stata affidata a Eugenia Scabini [VIDEO] che ha ripercorso il proficuo intreccio tra la ricerca personale della sua identità e la ricerca del famigliare. Ricorrono nella sua presentazione alcuni elementi che non a caso sono stati poi ripresi da Vittorio Cigoli in un intervento tanto diverso nella modalità espressiva quanto vicino e condiviso nei contenuti [VIDEO]. Entrambi, l’una a parole e l’altro circoscrivendolo in un triangolo, hanno rimesso al centro “il sacro” dei legami familiari, garantito dalla giustizia, dalla fiducia e dalla speranza: il rispetto della giustizia sul piano etico, l’importanza del ridare fiducia sul piano affettivo, e la speranza che con queste basi si possa ricostituire il legame familiare. E tutti e due hanno parlato del simbolico che si dipana nei riti e porta l’essere umano a superare se stesso, nutrendo così il legame familiare che gli permette di essere riconosciuto come tale a partire dalle sue origini. Infatti, come ha sottolineato la professoressa Scabini, «l’essere umano non sa chi è se non è riconosciuto da altri, anzi dagli altri che l’hanno generato, biologicamente e/o psichicamente, ossia se non ha un posto nella sua storia generazionale (e qui sta l’origine relazionale-simbolica dell’identità personale)». La famiglia è il luogo dove si sperimentano gli affetti più profondi e si assumono le responsabilità più stringenti. Inesorabilmente. Perché non si può mai essere ex padri o ex madri o ex figli.
Il convegno, moderato dalla direttrice del Centro di Ateneo Giovanna Rossi [VIDEO], ha ospitato anche gli interventi di esperti quali Douglas Snyder, Corrado Pontalti, Adriano Zamperini e Vivian Vignoles, e si è concluso con un ospite d’eccezione che nel corso della sua carriera cinematografica si è sempre occupato di relazioni familiari.
Roberto Faenza, intervistato dalla psicologa Caterina Gozzoli, è il regista di Jona che visse nella balena, di Sostiene Pereira, di I giorni dell’abbandono, Alla luce del sole, Un giorno questo dolore ti sarà utile. Tutti film che fotografano, sondano e raccontano nel profondo i legami familiari e sociali senza negare mai la fatica ma recuperando la fiducia e ridando la speranza. A testimonianza che anche l’arte, come la vita, ha ben presente che la relazione è la leopardiana “navicella fragile” ricordata dal professor Cigoli nel suo intervento, e che l’attenzione e la cura vanno rivolte più che al male, alla fragilità del bene.