Un’assenza pesante. È questa la sensazione più immediata pensando al rapporto tra carcere e mezzi di comunicazioni italiani. Per capire se le cose stanno realmente così un gruppo di giovani studiosi che frequentano i corsi di dottorato in Comunicazione dell’Università Cattolica si sono messi al lavoro per indagare il fenomeno della rappresentazione del mondo carcerario sui media. Ne è uscito uno speciale di della rivista «Comunicazioni Sociali on-line», edita da “Vita e pensiero” e consultabile all’indirizzo http://www.comunicazionisocialionline.it/.
Quello del carcere, infatti, è un tema che fatica a imporsi all’attenzione dei mezzi di comunicazione italiani: spesso sale alla ribalta dei media solo sull’onda del sensazionalismo di notizie “forti”, che coinvolgono situazioni di emergenza e scuotono l’agenda dell’informazione nazionale. Altrimenti, capita di frequente che il racconto del carcere sia confinato in una sorta di zona d’ombra, soprattutto nelle rappresentazioni dei media più “generalisti” (televisione e carta stampata). Il rapporto tra istituzione carceraria e mezzi di comunicazione sembra allora configurarsi all’insegna di un totale sbilanciamento. Ma è davvero così?
Per rispondere a questa domanda e affrontare il tema del rapporto tra carcere e media attraverso uno sguardo competente ed esperto è stato pensato “Carceri. Cinema, televisione, teatro, videogame, pubblicità”, l’ultimo numero della rivista, frutto del pensiero e del lavoro di un gruppo di giovani studiosi che hanno frequentato e stanno frequentando i corsi di dottorato in Comunicazione dell’Università Cattolica di Milano, variamente afferenti al dipartimento di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo.
Il numero dedicato al rapporto tra i mezzi di comunicazione e il carcere prende in esame un variegato repertorio di contenuti mediali, analizzando come media molto diversi raccontano la prigione. C’è la fiction televisiva, con l’ambientazione a Regina Coeli di alcuni episodi della serie targata Sky Romanzo criminale. Ci sono i videogiochi, dove spesso la prigione rappresenta un luogo di passaggio obbligato per il giocatore, ricoprendo via via significati diversi. C’è il cinema, e nella rivista si getta uno sguardo approfondito sulla tradizione di rappresentazione del carcere nel cinema asiatico e su 9m2, film francese realizzato in prigione con la partecipazione di alcuni detenuti. E infine c’è la pubblicità, con alcuni spot recenti (Maina, Ikea, Audi) che utilizzano il carcere come ambiente pubblicitario giocando con un registro ironico sul filo del paradossale.
Il numero riflette anche sulla presenza e sul significato dei media nell’istituzione carceraria, prendendo in esame alcune esperienze di teatro in prigione, promosse con finalità etiche e formative, per mostrarne difficoltà e successi, e analizzando la produzione di giornalismo carcerario, soprattutto nelle case circondariali di Pisa e Padova, per mettere in luce i complessi meccanismi attraverso cui prende vita e le molteplici pressioni cui è soggetto.