Ricercatori di cardiologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore–Policlinico A. Gemelli di Roma, insieme a colleghi del prestigioso Brigham and Women's Hospital e Harvard Medical School di Boston, hanno scoperto che nelle cellule staminali adulte, naturalmente presenti nel cuore, c’è il segreto per una ripresa ottimale delle condizioni di salute dopo un infarto. Queste cellule ripara-cuore non funzionano altrettanto bene in tutti i pazienti ed è per questo che in circa un terzo dei casi dopo un intervento di bypass coronarico non si osserva una ripresa ottimale della funzione cardiaca e analogamente dopo un infarto o l’inserimento di un pacemaker biventricolare. Ciò significa che le staminali cardiache possono divenire un marcatore per predire la prognosi di un paziente reduce da un intervento di bypass coronarico e, forse, in un prossimo futuro potrebbero divenire anche bersaglio di nuove terapie per potenziare il naturale processo autoriparativo del miocardio.
La scoperta è frutto del lavoro di una équipe di ricercatori, fra cui i cardiologi della Cattolica Domenico D’Amario e Antonello Leone, coordinata dal professor Filippo Crea, direttore del dipartimento di Scienze cardiovascolari del Policlinico A. Gemelli di Roma e dal professor Piero Anversa, direttore del Center for Regenerative Medicine del Brigham and Women's Hospital e Harvard Medical School di Boston. Lo studio è stato appena pubblicato sulla prestigiosa rivista “Circulation”.
Dopo un infarto cardiaco o un intervento di bypass coronarico la funzione cardiaca non migliora nello stesso modo in tutti i pazienti. «Finora - sottolinea il professor Crea -, non era noto il motivo di queste marcate differenze nella prognosi di pazienti trattati tutti allo stesso modo. I ricercatori hanno studiato 38 pazienti - tutti uguali per età, per stato generale di salute, e per quel complesso di fattori che possono influenzare la prognosi - sottoposti a intervento di bypass coronarico. Durante l’operazione i ricercatori hanno eseguito una minuscola biopsia cardiaca e isolato le cellule staminali cardiache in essa presenti. Poi hanno caratterizzato queste cellule staminali e misurato il loro “potere replicativo”, cioè la loro efficienza nel moltiplicarsi e generare nuove cellule cardiache.
«In questa maniera - spiega il professor Crea - abbiamo visto che c’era una chiara associazione tra efficienza replicativa delle staminali cardiache e miglioramento della funzione cardiaca dopo bypass. Laddove queste cellule si moltiplicano in modo efficiente la ripresa contrattile del cuore dopo l’intervento era eccellente». Questo significa che le cellule staminali cardiache possono divenire un biomarcatore per predire quali pazienti avranno un miglioramento della funzione cardiaca. «In futuro - conclude il professor Crea - queste cellule staminali ripara-cuore potrebbero anche diventare un importante bersaglio terapeutico, utilizzando farmaci capaci di ‘risvegliarle’ quando sono assopite».
«Le proprietà della crescita delle staminali cardiache umane residenti potrebbero divenire in futuro predittivo della prognosi clinica di altre malattie cardiache - commenta il professor Anversa -. E ancora più importante, potremmo esser in grado un giorno di isolare e moltiplicare per terapie la piccola parte di staminali giovani e funzionanti, per poi sviluppare dei nuovi trattamenti sperimentali per lo scompenso cardiaco».