Dall’esperienza e dal lavoro di Claudio Lucifora, professore ordinario di Economia politica e di Economia del lavoro dell’Università Cattolica, e del professor Dell’Aringa, docente di Economia politica, è nata la ricerca “Il ruolo degli immigrati nel mercato del lavoro italiano”.
Professor Lucifora, come può essere spiegato il fenomeno dell’assimilazione economica degli immigrati?
«L’integrazione degli immigrati nel mercato del lavoro dipende essenzialmente dall’anzianità migratoria. Pertanto, gli immigrati che sono in Italia da più tempo hanno più possibilità di integrarsi. Quello che è emerso, però, è che la trasferibilità del capitale umano accumulato nel Paese d’origine è molto imperfetta. Questo ha generato il fenomeno della sovraqualificazione. In buona sostanza, il rendimento del capitale umano (anni di studio ed esperienze lavorative, ndr) per i nativi è elevato e si attesta fra il 5 e il 7 % in termini di retribuzioni annue. Invece, per gli immigrati che si sono formati nel proprio Paese d’origine non è affatto così».
Quali sono state le difficoltà che avete dovuto affrontare nel corso di questa ricerca?
«Le difficoltà maggiori sono sorte principalmente dal fatto che fino a poco tempo fa non era possibile condurre analisi di questo tipo perché le informazioni statistiche disponibili erano prevalentemente di natura amministrativa e non campionaria. Inoltre, l’Istat non rilevava con precisione il luogo di nascita e i dati concernenti la retribuzione delle forze di lavoro. Oggi, l’introduzione della rilevazione delle retribuzioni e del luogo di nascita consentono di fare questo tipo di analisi. Gli immigrati presenti sul territorio italiano, infatti, sono molto mobili, tanto che molto spesso vengono anche chiamati ‘migranti’».
Quale effetto ha avuto la crisi su questa situazione?
«La crisi tocca meno gli immigrati, ma tocca anche loro, soprattutto in alcuni settori come l’edilizia e quello alberghiero. Il luogo comune degli immigrati che, portando via il lavoro ai locali, creano disoccupazione non è stato riscontrato dai dati raccolti. Ma l’effetto spiazzamento colpisce i giovani disoccupati e con poca esperienza. I dati che abbiamo raccolto, infatti, non mettono in evidenza un forte effetto spiazzamento perché le professionalità ricoperte dai nativi e dagli immigrati sono complementari. La disponibilità di forza lavoro emigrata è funzionale alla forza di lavoro nativa. È vero, invece, che un forte aumento dell’immigrazione ha degli effetti di spiazzamento sugli immigrati già presenti sul territorio».
Quanto tempo ha richiesto il completamento di questi studi?
«Le competenze necessarie per mettere a punto questa ricerca sono state sviluppate lungo l’arco di tutta la carriera. Come il professor Dell’Aringa, anch’io mi occupo di immigrazione da moltissimo tempo. Abbiamo lavorato per oltre un anno su questo rapporto, con la collaborazione di altri ricercatori del Centro di ricerca per i problemi del lavoro e dell’impresa dell’Università Cattolica e del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro».
Dal lavoro presentato al Cnel traspare che non è agevole riuscire ad anticipare i trend futuri della domanda di lavoro. Ci può dire qualcosa in più?
«Possiamo affermare che la tendenza porterà verso una forte polarizzazione delle professionalità. Questo fenomeno, già presente in molti altri Paesi, probabilmente condurrà ad un aumento della disoccupazione dei lavoratori poco qualificati e, contestualmente, alla crescita della domanda di quelli molto qualificati. Scompariranno invece le professionalità intermedie, cioè quelle che oggi svolgono operazioni di tipo routinario, poiché verranno sostituite senza difficoltà dai computer. In futuro, dunque, i computer spiazzeranno sempre più le competenze intermedie, non sostituiranno quelle di basso livello e avranno comunque bisogno di quelle di alto profilo».