Monitorare la fase prima e dopo il parto per accompagnare uno dei momenti più delicati della vita di una coppia. La novità del progetto Slalom sta nell'azione di prevenzione delle situazioni a rischio nel rapporto precoce madre-bambino. «La letteratura - spiega Paola Di Blasio, docente di Psicologia dello sviluppo all'Università Cattolica e coordinatrice dell'iniziativa - rivela come il periodo pre-parto sia una fase decisamente critica nella quale possono emergere problemi nuovi oppure possono essere enfatizzati disagi pregressi nelle famiglie che, per esempio, hanno avuto casi di tossicodipendenza o malattia mentale». I traumi patiti dai genitori ricadono sulla salute del nucleo familiare e rischiano di comprometterne definitivamente la stabilità. Ecco perché è fondamentale intervenire nelle fasi più delicate della vita di una coppia e prevenire problematiche complesse laddove sono ancora reversibili.
Il progetto, condotto nel biennio 2011-2013 e presentato oggi nella sede di largo Gemelli a Milano, è stato finanziato dalla fondazione Cariplo che offre il proprio sostegno ai lavori che presentano un contenuto innovativo. All'iniziativa hanno partecipato la clinica Mangiagalli, il Centro per la cura del bambino maltrattato e la cura della crisi familiare, il Sert e i servizi sociali. «L'Università ha avuto un ruolo di monitoraggio e valutazione qualitativa degli interventi sulle famiglie - afferma la professoressa Di Blasio -. Ne abbiamo seguite trenta e tutte quelle che hanno portato a termine il percorso ne hanno tratto beneficio».
L'approccio adottato è multidisciplinare. « È stato proposto ai servizi ospedalieri di segnalare le situazioni più delicate legate alle nascite premature o alla morte di un figlio, mentre al Sert e ai servizi sociali, i casi di genitori tossicodipendenti o con problemi di salute mentale - prosegue la psicologa -. Un'équipe, nata appositamente per questo progetto e composta da psicologi, psichiatri, medici e assistenti sociali, si è occupata di accogliere le segnalazioni e prendersi cura delle famiglie».
Ma in che cosa è consistito il trattamento? «Sono stati organizzati colloqui individuali, gruppi di madri o di padri, interazioni educative in situazioni ludiche per vedere come i genitori interagiscono con gli altri loro figli. Non è mancato l'home visiting, un intervento che prevede la visita di esperti a domicilio con una certa costanza nell'arco di un periodo determinato di tempo», aggiunge la professoressa. L'obiettivo principale è stato quello di «far elaborare il dolore derivante dal trauma e far emergere problematiche comuni e tipiche che precedono e seguono la nascita di un bambino. Non è stato un compito facile perché molti genitori non si rendevano conto della complessità delle loro problematiche e avevano difficoltà nell'elaborazione. Ci sono stati due casi in cui il trattamento è stato interrotto».
I risultati, nel complesso, sono stati soddisfacenti, come spiega la Di Blasio: «Nei genitori che hanno seguito il percorso di assistenza il livello di depressione è diminuito così come il grado di stress post-traumatico. È aumentata la loro capacità di essere genitori, la percezione del bambino ed è migliorata la relazione con i figli. Gli stessi servizi sociali hanno potuto constatare la bontà del trattamento».
C'è poi un dato ancora più interessante, sottolineato la psicologa: «Alle famiglie è stato sottoposto un test che misura la percezione soggettiva del supporto sociale, che permette cioè di valutare se i soggetti coinvolti nel progetto ritengono di avere nella loro vita altre persone di cui si possono fidare. Intervenire quando le famiglie sono più fragili, seguirle nel tempo crea in loro la sicurezza di poter contare su dei professionisti non avendo altri ai quali affidarsi. È un bel risultato il fatto che una società possa avere dei servizi che nella percezione delle persone diventano un supporto».