Il nostro Paese ha fatto davvero i conti con il proprio passato sulla dolorosa pagina del terrorismo? Il Giorno della memoria delle vittime del terrorismo, che si celebra lunedì 9 maggio, è l’occasione per rivisitare alcuni articoli sulla memoria condivisa e sulla riconciliazione che i nostri concittadini hanno saputo o meno far proprie. In un articolo uscito su “Vita e pensiero” nel 2011, dal titolo Il terrorismo italiano, una ferita non sanata, lo storico Agostino Giovagnoli prendeva atto dell’«ombra negativa che continua ad accompagnare il ricordo del terrorismo in Italia» e polemizzava con la leggenda nera di un’Italia antidemocratica “che ha oppresso i dissidenti” quasi costringendoli a scegliere la via della lotta armata. «Ancora negli anni Novanta – scriveva Giovagnoli – si è tentato in più modi di giustificare l’eversione rossa di venti anni prima con confuse teorie sul doppio Stato». E questo perché gran parte della sinistra (“soprattutto comunista ma anche socialista e in parte cattolica”) non ha saputo riconoscere nel suo album di famiglia la presenza degli slogan poi utilizzati dal terrorismo negli anni Settanta. «La leggenda nera – concludeva lo storico – non sarà contrastata in modo definitivo fino a quando gli italiani non faranno i conti con la storia dell’Italia repubblicana dal 1943 al 1994. È un passaggio obbligato per una rifondazione della convivenza civile di cui si avverte ogni giorno di più l’urgenza».
Sulla possibilità di una memoria unica e condivisa si era detto assai scettico Mario Calabresi, allora direttore de “La Stampa” e oggi di “Repubblica"; in un’intervista realizzata da Katia Biondi per la rivista dell’Università Cattolica nel 2009 (Anni di piombo, la riconciliazione possibile). Per il giornalista, figlio del commissario ucciso, è difficile anche accettare il perdonismo: «Mi trovo a mio agio con la posizione di mia madre, che ci ha educato a considerare il perdono non un atto pubblico, ma una questione privata, un cammino personale. Esattamente come la fede. Il perdono poi non va interpretato come un’assoluzione dalle colpe, un modo per ridimensionare i fenomeni. I terroristi, una volta che abbiano rivisto i loro percorsi, abbiano scontato le loro pene, possono essere ex terroristi, ma non ex assassini. Le persone che hanno ucciso non verranno mai restituite. È un’illusione pensare che la ferita, la mancanza, la distruzione che si è creata alle famiglie, al corpo sociale possa essere considerata chiusa e disperata. Il perdono è qualcos’altro».
La rivisitazione del fenomeno del terrorismo ci ha accompagnato costantemente in questi decenni anche grazie alla letteratura, come ha ben raccontato Ermanno Paccagnini nell’articolo Anni di piombo, la memoria degli scrittori, uscito su “Vita e pensiero” nel 2008: un lungo excursus da Sciascia a Doninelli e Romagnoli, con alcune annotazioni dedicate a Ferruccio Parazzoli e al suo scritto “Adesso viene la notte” sull’angoscia vissuta da Paolo VI nei giorni del rapimento Moro, pubblicato nel 2008.