Come sta la radio in Italia? Come si diventa speaker radiofonici? Di questo e di molto altro ne abbiamo parlato con Matteo Di Palma, speaker di R101 e coordinatore del Master Fare Radio - Produzione e management dei prodotti radiofonici. Una passione, quella per le cuffie e il microfono, nata dieci anni fa tra i banchi dell’Università di Genova. Dopo le prime esperienze presso la web radio di Ateneo, CampusWave Radio, e alcune emittenti locali, Matteo capisce di aver trovato la propria strada. Nel 2012 si trasferisce infatti a Milano, sia per proseguire la carriera accademica (nel 2014 si laurea in Comunicazione per i Media presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore) sia per cercare di trasformare la propria passione in un lavoro. Non molto tempo dopo arriva la svolta: durante gli ultimi mesi del 2012 Matteo viene infatti chiamato da M20, emittente del gruppo editoriale GEDI, la quale, impressionata dalla sua pungente ironia e schiettezza, gli permette di lavorare per la prima volta per una radio nazionale. Dopo altri anni di conduzione ed ulteriore gavetta nel gennaio 2017 passa a R101 (gruppo RadioMediaset), dove gli viene affidata, assieme a Francesca Bacinotti, la conduzione sia del programma R101 Comfort Zone, in onda da lunedì a venerdì dalle 20:00 alle 00:00, e gli speciali dedicati al Grande Fratello Vip. Oltre al lavoro di speaker dal 2016 collabora con l’Università Cattolica sia a fianco della professoressa Paola Abbiezzi presso la cattedra di Storia della Radio e della TV sia come coordinatore presso il master Fare Radio e come docente di Comunicazione radiofonica all'interno del corso di laurea Comunicazione e società.
Ascolta "Empatia, approfondimento e raccordo: ritratto di uno speaker" su Spreaker.
Qual è il tuo primo ricordo con la radio?
«La mia primissima esperienza radiofonica è stata a Radio Sanremo, una stazione locale che trasmetteva dalle mie parti vicino ad Imperia. Mi ricordo ancora quando provavo a smanettare sul mixer non capendoci niente. Di lì a poco qualcosa ho imparato e meno male perché se no sarei andato a fare ben altro».
Secondo te qual è lo stato di salute della radio in Italia?
«La radio, ormai da decenni, ogni qual volta che si assiste alla nascita di un nuovo media la si dà per spacciata, archiviata. Invece, puntualmente, sia che si parli di televisione sia che si parli di streaming o di social, la radio è sempre sul pezzo, riesce a trovare il modo di inserirsi nei nuovi media e di uscirne ancora più forte di prima. Rinasce dalle sue ceneri e torna sempre ai primissimi posti delle classifiche utilizzo dei mezzi di comunicazione».
Ricollegandoci ai nuovi media come visto da parte di un insider del mondo radiofonico “tradizionale” come te un mezzo di comunicazione come il podcast?
«Può essere assolutamente una risorsa. Il podcast talvolta utilizza un linguaggio diverso dal mondo prettamente radiofonico per come l'abbiamo sempre conosciuto. È un mezzo in più per far arrivare un contenuto alla gente in maniera decisamente più approfondita. Questo perché è costruito e segue delle leggi diverse rispetto alla radio e alle sue tempistiche serrate. Talvolta in radio, a causa della sua timetable talvolta risicata, non c’è tempo, modo e spazio per approfondire un singolo argomento come invece si ha la possibilità di fare in un podcast. Quindi ben venga che questo nuovo mezzo finalmente stia prendendo piede anche in Italia. Purtroppo, per quanto riguarda la comparazione del panorama del podcasting nostrano con quello estero, soprattutto quello americano, c’è una discrepanza ancora notevole. Tuttavia, spero che questo nuovo mezzo di comunicazione riesca ad entrare nei prossimi anni nelle abitudini quotidiane degli italiani».
Come vedi il futuro della radio nel nostro paese?
«La radio in questo momento è colpita da grandi cambiamenti. Una serie di trasformazioni che, tuttavia, necessitano di una guida più precisa e accurata sia dal punto di vista dei gestori che delle nuove leve. Queste ultime hanno bisogno di prestare attenzione a queste novità e, soprattutto, studiare con molto impegno. Fortunatamente ci sono tanti giovani che vogliono entrare in radio. Tuttavia, alcuni hanno la presunzione di essere già capaci di fare tutto, di sapere già come ci si muove e di come si lavora in questo mondo. L’unico modo per colmare questa attitudine sbagliata è attraverso lo studio, la tanta dedizione e soprattutto la voglia di fare radio nel modo corretto. Spesso e volentieri ci si improvvisa un po’ troppo. Questa cosa andrebbe curata degli addetti ai lavori ma principalmente facendosi un bel po’ di autocritica e autoesame di che cosa si può dare a questo mondo. Bisogna aver sempre bene in mente che c'è sempre qualcosa da imparare soprattutto durante i primi anni della propria esperienza radiofonica. Se si ha questa consapevolezza è possibile dare quell’apporto in più che magari oggi manca al panorama radiofonico nazionale su alcuni frangenti e settori. Spesso ci si lamenta che il lavoro in radio manca o è altalenante. Se partissimo con il giusto mood, quello di voler imparare e mettersi in gioco e in discussione ogni qualvolta se ne presenti l'opportunità, molte cose cambierebbero».
Come descriveresti in tre parole il lavoro dello speaker radiofonico?
«Sicuramente Empatico. Poi di approfondimento perché, per lavorare in radio non si può improvvisare. Terzo, ma non meno importante, di raccordo perché lo speaker è un po’ la punta di diamante del lavoro che una squadra fa. In radio, dietro alla persona che parla ad un microfono, c'è un mondo fatto da una programmazione musicale, da un’identità radiofonica costruita da un direttore e un editore. È fatto da autori, tecnici e una redazione che, unendosi e collaborando, ti danno l’opportunità di andare in onda. Lo speaker è colui che veicola un certo tipo di messaggio, composto della sua personalità, dal suo sapere e della coscienza che ha di sé. Tuttavia, senza una squadra che opera in sinergia con lui, il suo lavoro verrebbe decisamente meno bene».