di Armando Fumagalli *
In questo interessante inizio d’anno cinematografico, uno dei film che hanno unito pubblico e critica è Piccole donne, scritto e diretto da Greta Gerwig, che era balzata alla ribalta tre anni fa con un piccolo film semiautobiografico, Lady Bird, che aveva avuto un buon successo e raccolto molti consensi dalla critica per la sua originalità e sincerità. Un elemento in comune con Lady Bird è l’eccellente attrice protagonista Saoirse Ronan, ma tutto il cast di Piccole donne è di primissimo livello, da Meryl Streep a Emma Watson, da Laura Dern al giovane ma ormai affermato Timothée Chalamet. L’attrice che interpreta Amy, l’inglese Florence Pugh ha avuto un’altra delle sei significative nomination all’Oscar del film.
Un altro Piccole donne? Il testo di Louisa May Alcott, amatissimo da numerose generazioni di lettori e di lettrici, aveva già avuto diversi adattamenti, e spesso con buoni risultati e un buon successo, ma la Gerwig è riuscita a fare un’operazione duplice: unire una sostanziale fedeltà all’ispirazione originaria della scrittrice con uno stile di sceneggiatura e di regia moderno e vivace. L’unico neo è forse che il giocare su continui salti di tempo non rende sempre facilissima la lettura delle vicende a uno spettatore non particolarmente attento o non particolarmente familiare con il testo di partenza.
C’è molto movimento nel film, molta esuberanza giovanile, molta fisicità, molta emozione. C’è senz’altro una sensibilità che fa propria l’emancipazione femminile contemporanea; l’autrice gioca efficacemente nel denunciare con ironia alcuni stereotipi e alcuni limiti dei ruoli femminili dell’epoca, come quando fa dire all’editore a cui si presenta una speranzosa Jo March che “deve scrivere un romanzo in cui la protagonista femminile alla fine si sposa o muore”. Non ci sono altre possibilità. Eppure, questa sensibilità femminista non è estremizzata: l’autrice fa dire a Meg, la sorella grande e “saggia” delle March, che scelte diverse sono possibili: lei ha scelto l’amore, il matrimonio, i figli e le sta bene così, anche se ha pochi soldi e una vita semplice.
L’ispirazione esplicitamente cristiana della Alcott emerge bene in alcuni episodi e in alcuni dialoghi del film, davvero toccanti e commoventi. E il finale gioca in modo creativo e intelligente sui richiami metanarrativi fra vita della Alcott e contenuti del romanzo.
Ci sarebbe molto da aggiungere, ma rimandiamo a due belle recensioni on line, di Luisa Cotta Ramosino su www.sentieridelcinema.it e di Eleonora Fornasari su www.familycinematv.it.
L’operazione fatta dalla Gerwig ci ha ricordato, pur nella diversità di stile, un altro eccellente adattamento di un classico ottocentesco della letteratura: il Ragione e sentimento scritto e interpretato nel 1995 da Emma Thompson e diretto da Ang Lee. Anche lì, una sostanziale fedeltà al romanzo di Jane Austen, con però un innesto non invasivo di elementi di modernità, che fanno percepire il percorso di emancipazione delle donne dei decenni e secoli successivi.
Del resto, l’operazione di adattamento cinematografico è sempre, inevitabilmente, una contemporaneizzazione dell’opera di partenza. Che lo vogliano o no, sceneggiatori e registi mettono sempre una loro sensibilità, fanno risuonare le domande dell’epoca in cui vivono, “dialogano” in modo sovente molto intelligente con l’opera di partenza. L’operazione di adattamento non è e non può mai essere meccanica. Se poi si parte da romanzi come i due citati, è chiaro che ogni epoca potrà leggerli e rileggerli con sempre rinnovato piacere. Ma di questo Piccole donne della Gerwig ci ricorderemo a lungo.
* docente di Semiotica e Storia e Linguaggi del Cinema internazionale alla facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere, Università Cattolica, campus di Milano