di Pier Antonio Varesi *
Gli alti livelli di disoccupazione giovanile sollecitano l'intero sistema educativo italiano a ricercare nuove forme di più stretta interazione con il mondo del lavoro. Anche l'università è chiamata a cimentarsi con questa sfida, sia assicurando la più ampia diffusione e l'innalzamento della qualità dei tirocini formativi e di orientamento (i cosiddetti stage), sia articolando ulteriormente l'offerta formativa per dare ai giovani l'opportunità di conseguire la laurea, il master o il dottorato di ricerca durante lo svolgimento di un contratto di lavoro di apprendistato per l'alta formazione.
Quest'ultimo filone, consolidato nel sistema duale tedesco e fatto proprio negli anni Novanta anche dal sistema educativo francese, è da circa un decennio presente anche nel nostro ordinamento: il d.lgs. n. 276 del 2003 (la "legge Biagi") ha infatti disciplinato un particolare tipo di apprendistato volto a promuovere l'alta formazione dei giovani. È dunque da un decennio che risulta praticabile, almeno sul piano formale, l'intreccio tra percorsi universitari e lavoro in apprendistato. In verità, l'esperienza di questi due lustri è stata molto deludente: contrariamente a quanto accade nei Paesi sopra citati, la formazione universitaria rivolta a giovani in apprendistato è rimasta circoscritta a esperienze sperimentali quasi totalmente finalizzate alla partecipazione a master; incapace dunque di contaminare l'intera offerta formativa universitaria e in particolare i percorsi per la laurea. I dati relativi al numero di studenti coinvolti sono eloquenti: in sette anni (dal 2003 al 2010) l'apprendistato alto in Italia ha riguardato in totale circa 1.000 giovani, contro i 100.000 giovani francesi che nel solo anno 2010 hanno partecipato a percorsi analoghi. Nel 2011 i partecipanti italiani sono stati circa 200 e circa 300 nel 2012 (si veda: Isfol, XIII Rapporto di monitoraggio sull'apprendistato, Roma 2013, p. 30).
L'università italiana e il nostro sistema produttivo sono in grado di fare meglio? Certamente sì, a condizione che si superi la scarsa attenzione dedicata fino a ora al tema, quasi fosse frutto di un puntiglio del legislatore e non un'interessante opportunità per giovani, imprese e università.
Perché conviene questo apprendistato
In proposito può essere opportuno ricordare che l'ambizioso obiettivo di trasformare l'apprendistato nel principale strumento di contrasto alla disoccupazione giovanile fa leva sui significativi vantaggi che l'istituto offre sia alle imprese sia ai giovani.
Alle imprese porta in dote vantaggi economici e normativi e offre opportunità per una razionale gestione delle risorse umane. Per quanto riguarda i vantaggi economici ricordo: 1) la fiscalizzazione degli oneri sociali (totale per le aziende fino a 9 dipendenti e comunque rilevante per le imprese di dimensioni superiori) prorogabile per un ulteriore anno al termine del periodo di formazione in caso di mantenimento in servizio del lavoratore; 2) il salario ridotto, con il sotto-inquadramento per non oltre due livelli o, in alternativa, la retribuzione dell'apprendista fissata in percentuale della retribuzione del lavoratore qualificato e crescente in relazione all'anzianità di servizio.
Inoltre - può essere utilmente ricordato ai fini del presente contributo - dal 2012 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Italia Lavoro hanno emanato un Avviso pubblico a sportello per la concessione alle imprese di contributi pari a 6.000 euro per l'inserimento al lavoro di laureandi, laureati e dottorandi di ricerca con contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca.
Sotto il profilo normativo va segnalata la possibilità di sciogliere liberamente il rapporto al termine della fase formativa in apprendistato e l'esclusione degli apprendisti dal computo dei limiti numerici previsti da leggi o contratti per l'applicazione di particolari normative e istituti.
Visto sotto il profilo della gestione delle risorse umane, l'apprendistato appare come lo strumento più adatto per l'acquisizione di manodopera giovanile su cui investire in un progetto di potenziamento delle competenze aziendali. Il ricorso all'apprendistato di alta formazione può rivelarsi molto utile in specie laddove l'impresa o un determinato settore produttivo manifestino difficoltà nel reperire personale con competenze elevate: in questo caso il rapporto con l'università consente di avvicinare giovani con una buona preparazione di base su cui innestare percorsi di "alta specializzazione" (si pensi in particolare a eventuali master o alle lauree magistrali) per "modellare" la preparazione dello studente-lavoratore sulle esigenze espresse dal sistema produttivo.
Ai giovani l'apprendistato di alta formazione offre l'opportunità di acquisire titoli di studio universitari durante lo svolgimento di un contratto di lavoro subordinato. Al lavoratore è assicurata, pur con alcune specificità, l'applicazione di istituti (ferie, tredicesima, Tfr, maturazione dell'anzianità di servizio) e protezioni sociali (copertura previdenziale-pensionistica, assicurazione in caso di malattia e sostegno alla maternità, assegni familiari, assicurazione contro l'invalidità nonché accesso alla cassa integrazione guadagni in deroga e alla nuova Aspi - Assicurazione sociale per l'impiego) tipici dell'area protetta del mondo del lavoro. Il trattamento economico e normativo offerto è dunque decisamente più favorevole rispetto a quello di altre forme di lavoro molto utilizzate per l'impiego di giovani (penso ad esempio ai contratti di lavoro a progetto). È pur vero che al giovane viene riconosciuta, come si è detto in precedenza, una retribuzione ridotta, ma tale sacrificio è ampiamente compensato dalla formazione che riceve.
Non va dimenticato, infine, l'interesse del sistema universitario all'articolazione della sua offerta formativa. La nascita di un nuovo comparto consentirebbe di acquisire nuovi studenti, provenienti in particolare dall'area di coloro che sono costretti, per ragioni economiche, a immettersi nel mondo del lavoro subito dopo il diploma di scuola secondaria superiore. In una fase di caduta delle iscrizioni ai percorsi universitari, causata anche dalle difficoltà economiche delle famiglie a sopportare i costi degli studi universitari, l'offerta di percorsi in alternanza tra studio e lavoro potrebbe essere d'aiuto per invertire tale tendenza.
I riferimenti normativi e gli accordi regionali
La più recente disciplina del contratto di apprendistato di alta formazione è rinvenibile all'art. 5 del d. lgs. n. 167/2011. Essa appare indubbiamente scarna, ma questo fatto deve essere considerato positivamente poiché è da ricondurre alla novità del tema per il nostro Paese; è infatti opportuna una dose maggiore di flessibilità nella fase di costruzione di un percorso formativo così innovativo. È bene dunque che la sua regolamentazione sia l'esito del processo avviato e non una gabbia entro cui comprimere le potenzialità della sperimentazione.
Il contratto in esame si rivolge a datori di lavoro pubblici e privati operanti in tutti i settori di attività e ai giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni (l'età minima potrà scendere a 17 anni in caso di possesso di qualifica professionale, conseguita ai sensi del d. lgs. 17 ottobre 2005, n. 226). Mutano invece gli obiettivi dei percorsi in apprendistato volti all'alta formazione e alla preparazione all'attività di ricerca: essi mirano al conseguimento di un titolo di studio di livello secondario (ad esempio, il diploma che conclude il secondo ciclo del sistema di istruzione), universitario (ad esempio, la laurea di primo livello, la laurea magistrale o i master universitari) e dell'alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, nonché all'acquisizione della specializzazione tecnica superiore, di cui all'art. 69, l. n. 144/1999.
Invero la riforma estende questo tipo di apprendistato anche oltre i confini sopra indicati: esso è utilizzabile per svolgere il praticantato per l'accesso agli ordini professionali o per non meglio chiarite "esperienze professionali" e di ricerca. Si noti che, al momento, il ricorso a questo strumento per lo svolgimento del praticantato è lasciato alla libera scelta del "dominus" e va quindi interpretato come un'opportunità e non come un obbligo.
La durata massima del periodo di apprendistato e la disciplina degli aspetti formativi sono totalmente rimesse alle Regioni (e alle Province autonome), in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative e con le istituzioni formative interessate (scuole o università o altre istituzioni formative). In assenza di regolamentazioni regionali, l'attivazione dell'apprendistato di alta formazione è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le università e le altre istituzioni formative direttamente coinvolte.
A testimonianza della nuova attenzione verso l'istituto in esame, va segnalato che numerose Regioni hanno recentemente stipulato specifici accordi con le parti sociali e con le università insediate nel territorio di riferimento nell'intento di disciplinare e promuovere la diffusione dell'apprendistato di alta formazione (al 31 dicembre 2012 hanno siglato tali accordi Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Abruzzo, Sicilia).
In Lombardia e Piemonte, ad esempio, sono stati siglati dalle Regioni accordi con i rispettivi sistemi universitari per il triennio 2012-2014 volti alla promozione e diffusione dell'apprendistato di alta formazione mediante un programma sperimentale per il conseguimento del titolo di laurea triennale o magistrale in apprendistato. Esaminando più in dettaglio le intese rileviamo che la Regione Lombardia si è impegnata a sostenere finanziariamente: specifici servizi di progettazione formativa/didattica; formazione specialistica aggiuntiva rispetto a quella curriculare; tutoraggio formativo e aziendale individualizzato.
La Regione Emilia-Romagna, a seguito di protocolli d'intesa con le parti sociali e con le università locali, ha deciso di partecipare finanziariamente alla promozione delle attività di alta formazione mediante il riconoscimento di un voucher all'apprendista, differenziato in base al titolo da conseguire e commisurato alle ore di "apprendimento formale" complessive previste dal percorso formativo stabilito dai suddetti protocolli d'intesa. Più in dettaglio, la Regione concede un assegno formativo (voucher) all'apprendista per la partecipazione alle attività formative per l'acquisizione della laurea di importo pari a 5.000 euro annui fino al conseguimento del titolo di studio e comunque per non oltre tre anni; il valore dell'assegno formativo concesso all'apprendista per la partecipazione ai corsi (di durata annuale) di master di 1° e 2° livello ammonta a 6.000 euro; il valore dell'assegno formativo concesso all'apprendista per la partecipazione ai corsi di dottorato di ricerca in alto apprendistato è di importo non superiore a 2.500 euro, per ogni annualità, per un massimo di 7.500 euro per tre anni. Il voucher servirà all'apprendista per pagare l'iscrizione ai corsi universitari e per i servizi di tutoraggio messigli a disposizione dall'università.
La Regione Veneto, in base a un accordo sottoscritto con l'Ufficio scolastico regionale, le parti sociali e le università venete, si impegna ad assegnare un voucher formativo (che copre i costi di iscrizione ai percorsi formativi) a ogni giovane assunto in apprendistato per l'alta formazione fino a un importo massimo di 6.000 euro.
Molti accordi circoscrivono l'area dei potenziali beneficiari: spesso si tratta degli studenti agli ultimi due anni del percorso triennale o all'ultimo anno del percorso magistrale e che hanno acquisito un numero minimo di crediti formativi universitari (nel caso della Regione Lombardia, per esempio, è previsto che lo studente, al momento dell'assunzione in apprendistato, debba conseguire, di norma, da 60 a 80 Cfu nella laurea triennale e da 40 a 60 Cfu nella laurea magistrale o a ciclo unico). Il modello duale tedesco viene dunque ripreso, ma adattato al contesto nazionale: gli accordi in esame non prevedono che lo studente/apprendista svolga l'intero percorso accademico in apprendistato ma solo la parte terminale. È una rivisitazione opportuna che prefigura un modello originale in cui l'apprendistato accompagna la delicata fase di transizione dall'università al lavoro. Un tratto molto interessante del modello emiliano-romagnolo è la previsione di un obbligo formativo a carico dell'impresa, obbligo quantificato in 240 ore annue di apprendimento formale, di cui 150 ore in azienda e 90 ore di permessi retribuiti agli apprendisti espressamente finalizzati a consentire la frequenza da parte del giovane dei corsi universitari.
È importante notare che le intese segnalate non si limitano a prevedere il sostegno finanziario delle Regioni. Anche le università si impegnano a svolgere specifiche attività innovative. Nell'intesa lombarda, ad esempio, è previsto che le università debbano garantire: 1) azioni di informazione, promozione e orientamento al contratto di apprendistato in alta formazione presso studenti e imprese; 2) la progettazione e attivazione di percorsi formativi e di tutoraggio rispondenti alle esigenze delle imprese e co-attuati con le stesse; 3) il riconoscimento in termini di crediti formativi universitari del valore formativo del lavoro; 4) la valutazione e l'attestazione delle competenze e dei crediti formativi universitari acquisiti in ambito lavorativo, anche nel caso in cui l'apprendista non completi il percorso o non consegua il titolo finale.
In quella stipulata dalla Regione Emilia-Romagna le università si impegnano a riconoscere da un minimo di 12 a un massimo di 25 Cfu e a sostenere l'apprendimento del giovane mettendo a disposizione adeguate professionalità di supporto al processo di apprendimento mediante l'attivazione di servizi di tutoraggio formativo. Tali servizi consistono nella progettazione del percorso formativo e nella collaborazione alla stesura del Piano formativo individuale; nel monitoraggio periodico del percorso formativo svolto dallo studente; nell'assistenza all'apprendista studente; nella cura del raccordo tra apprendimento in azienda e studio in università, anche al fine del riconoscimento di Cfu alla formazione formale in azienda; nel supporto all'apprendista studente nell'eventuale elaborazione di una tesi di laurea o prova finale collegata all'apprendistato; nell'attestazione delle competenze acquisite, nel caso in cui l'apprendista non completi il percorso formativo o non consegua il titolo di studio.
Benché l'apprendistato per l'alta formazione presenti, come si è detto, molti elementi che possono renderlo interessante anche alle istituzioni universitarie, è bene avere la consapevolezza che la sua concreta applicazione, come emerge dalle intese sopra esaminate, richiede al corpo docente particolare impegno e disponibilità all'innovazione. Tre, a mio avviso, i punti più delicati.
Il primo nodo riguarda l'individuazione delle competenze che possono essere acquisite in impresa. Ciò richiede un apporto dell'università alla compilazione del Piano formativo individuale e alla puntuale ripartizione degli obiettivi formativi tra università e impresa. Il secondo aspetto delicato è rinvenibile nel riconoscimento di crediti formativi universitari per le competenze acquisite mediante lo svolgimento dell'attività lavorativa. A questo proposito, va detto che alcuni Cfu possono essere riconosciuti attribuendo allo svolgimento di attività in apprendistato lo stesso valore attribuito alle esperienze di tirocinio formativo e di orientamento. Altri, invece, potranno derivare dalla verifica da parte dell'università delle competenze acquisite sul lavoro. L'individuazione dei soggetti, dei modi e delle forme per tale verifica rappresenta un terreno importante e delicato di sperimentazione. Il terzo tema da affrontare è l'organizzazione dell'ampia attività di tutoraggio dello studente e delle forme di dialogo con l'impresa. Vanno individuati e preparati tutor capaci di svolgere questo fondamentale ruolo.
Come si può notare, la sfida è affascinante ma molto impegnativa: può essere vinta solo se tutti i soggetti interessati (imprese, giovani, università) collaborano con convinzione a un processo che ha carattere sperimentale (e quindi può necessitare di revisioni e aggiustamenti anche in corso d'opera).
* presidente Isfol e docente di Diritto del lavoro alla sede di Piacenza dell'Università Cattolica