Giovedì 25 ottobre, in una gremita Aula Magna Tovini, è stata inaugurata la settima edizione di Letteratura&Letterature, promossa dalla facoltà di Scienze Linguistiche in collaborazione con il CTB – Teatro Stabile di Brescia e coordinata dalla prof.ssa Lucia Mor. Nel suo saluto d’apertura il prof. Mario Taccolini, coordinatore di facoltà presso la sede bresciana, ha sottolineato il valore dell’iniziativa, nata da una qualificata sinergia con le istituzioni del territorio, che può vantare una considerevole partecipazione di un pubblico, anche tra i più giovani, interessato ad approfondire tematiche culturali ed etiche di ampio respiro. Questo stesso pubblico è motivo di stimolo e di gratitudine anche da parte di chi vive il teatro in prima persona, come ha osservato Angelo Pastore, direttore del Ctb. Ospite del primo appuntamento è stato l’attore, regista e drammaturgo Luca Micheletti, nato a Brescia e attivo anche in ambito accademico, figlio d’arte da quattro generazioni nonché il più giovane erede della tradizione secolare della compagnia teatrale “I Guitti”, della quale è regista stabile; il giovane artista bresciano ha vinto il Premio Ubu come miglior attore non protagonista per La resistibile ascesa di Arturo Ui di Bertolt Brecht al Teatro Grande di Brescia nel 2011 con la regia di Claudio Longhi. Nel suo dotto e raffinato intervento, Luca Micheletti ha presentato Le folli stagioni, il suo montaggio drammaturgico di alcune pagine di Jacques Prévert, originariamente non composte per la messa in scena, partendo da una semplice, ma altrettanto complessa domanda: perché ancora Prévert e, soprattutto, perché Prévert a teatro?
Jacques Prévert (1900-1977) partecipò marginalmente al movimento surrealista, allontanandosene nel 1930 per estraneità alle sue implicazioni politiche e filosofiche; poeta sostanzialmente spontaneo e sensibile alle facili suggestioni di un lirismo quotidiano e boulavardier, animato tuttavia da fecondi echi surrealisti, Prévert si affermò soprattutto come sceneggiatore cinematografico, sviluppando i caratteri tipici del realismo poetico nel cinema francese. Autore di canzoni di grandi successo, nel dopoguerra il suo arguto lirismo sentimentale si affermò presso il largo pubblico con i versi di Paroles (1945), Histoires (1946), Spectacle (1951) e La pluie et le beau temps (1955). Come ha sottolineato Micheletti, spesso il pubblico si sente in dovere di giustificare Prévert, autore di successo, caratterizzato dall’eccesso di libertà espressiva e dal gusto anarcoide per un’illusionistica instant poetry che nasce però da una faticosa abnegazione artigianale in grado di trasmettere la dolcezza degli artisti di avanspettacolo, capaci di suscitare emozioni con un solo gesto, un solo sguardo. Sussurri, silenzi e ammicchi sono gli espedienti propri di un uomo di teatro, eppure appartengono anche alla poesia di Prévert che, come precisò Eugenio Montale, è poesia parlata da mettere in scena. Scrivendo versi, il poeta riesce a dare vita a vere e proprie realtà parallele, costruttore di mondi immensi e sconfinati, la cui genesi è spesso mediata da un sapiente uso della metafora che sa evocare dimensioni altre, come se si trattasse di una nuova creazione all’interno di una sorta di “bibbia degli ultimi”, in cui riecheggia il grido primigenio dell’uomo che si interroga sul potere del linguaggio.
Le parole di Prévert parlano per i sensi, non per il senso compiuto, in una poesia che è fuori dalla storia, ma che vuole affondare le proprie radici nella società, in un’arte della parola che fonde in sé fantasticherie barocche e infantili, astruse speculazioni sull’inconscio che si mischiano a ovvietà del vivere quotidiano che banali non sono. Se l’umorismo è chiave privilegiata per esprimere i desideri intrinseci dell’uomo, il teatro diviene quindi perfetta ambientazione perché senso e sensi si incontrino e si scontrino indissolubilmente in un linguaggio all’insegna della risata che sa svelare anche l’amore, dinamica elettiva preistorica, nelle sue sfumature più intime. Le folli stagioni di Luca Micheletti – in scena nell’aprile 2013 presso il Ctb – rappresentano il risultato di un attento studio e di un’accurata selezione del materiale prévertiano secondo tre precise direttrici di ricerca: una lettura critica degli stereotipi letterari; un’indagine sul potere delle parole in cerca di corpi, in una farsa del disincanto, in cui si alternano capitoli drammaticamente buffi ad altri umoristicamente seri; il linguaggio musicale che dal ritmo di una barzelletta si espande fino alle canzoni di cui il poeta fu paroliere. In uno spettacolo teatrale fatto di proiezioni dell’anima, si susseguono così i più svariati états de l’âme, veri e propri paesaggi interiori tanto intriganti quanto intricati, che, come ammonisce lo stesso Prévert, non a tutti è dato di esplorare: “Anche se voi non lo vedete di buon occhio, il paesaggio non è brutto. Forse è il vostro occhio che è cattivo.”