Prima di raggiungere il luogo di vacanza
Intraprendere viaggi lunghi e faticosi per raggiungere località montuose molto distanti è assolutamente da sconsigliare. Se dall’infarto cardiaco, dall’operazione al cuore o dall’ictus cerebrale sono trascorse solamente quattro o cinque settimane è meglio restare nelle vicinanze, in una località che si possa raggiungere facilmente senza stress. Inoltre, già prima della partenza, si dovrebbe prender nota del numero telefonico di pronto soccorso del luogo di destinazione. I pazienti con patologie cardiache è opportuno che portino con sé un elettrocardiogramma recente e, soprattutto quelli che hanno subito da poco un intervento al cuore o ai vasi sanguigni, la lettera di dimissione dell’ospedale. Ovviamente è consigliabile portare i medicamenti in quantità sufficiente e per i pazienti in trattamento anticoagulante orale anche l’ultimo schema di terapia prescritto.
In montagna
Salendo in quota la pressione atmosferica diminuisce e con essa l’ossigeno a disposizione del nostro organismo (a 3000 m la pressione parziale di ossigeno si riduce di quasi un terzo). Se esistono gravi ostruzioni coronariche c’è il rischio che le richieste di maggior apporto di ossigeno non possano essere soddisfatte. Per questo è importante che, anche in presenza di una malattia coronarica, questa non sia così grave da compromettere un maggior apporto di sangue al cuore come durante lo sforzo. Sulla base di quanto riportato in letteratura, possiamo affermare che i pazienti con malattia coronarica (compresi quelli con pregresso infarto o sottoposti a procedure di rivascolarizzazione coronarica), che a livello del mare non presentano sintomi, abbiano una buona capacità lavorativa, una normale frequenza cardiaca e pressione arteriosa durante la prova da sforzo in assenza di angina, alterazioni elettrocardiografiche e di importanti aritmie, possono soggiornare in montagna e praticare, nella stagione estiva, l’escursionismo fino a quote anche di 3000 m, mentre andranno evitate altitudini maggiori ai 3000 m.
Più complessa è la problematica relativa ad altri tipi di cardiopatia. Vizi valvolari lievi e piccoli shunt sinistro-destri, in buon compenso emodinamico, non controindicano la permanenza e l’attività fisica in quota. Nel caso di cardiopatie più gravi con rischio di sincope o morte improvvisa (stenosi aortica serrata, miocardiopatia ipertrofica e miocardiopatia con aritmie) si dovrà infatti tener conto sia della situazione clinica del paziente sia delle caratteristiche dell’ambiente montano. Inoltre, eventuali attività escursionistiche dovrebbero essere attentamente valutate in relazione alle possibilità di eventi traumatici che fanno aumentare il rischio di emorragie gravi nei pazienti in terapia anticoagulante. L’esposizione alla quota ha un effetto variabile sui valori della pressione arteriosa sia nei soggetti normali, sia nei pazienti ipertesi. Questi ultimi presentano una tendenza a valori di pressione sistolica (massima) più elevati già dopo poche ore a media quota (1500-3000 metri), tendenza che si estende anche ai valori di pressione diastolica (minima) dopo 24 ore. Successivamente, la pressione arteriosa aumenta durante la prima settimana di permanenza in quota. Il paziente iperteso può soggiornare in montagna anche fino a quote di 3000 m, purché in buon controllo terapeutico, e praticarvi una moderata attività fisica come l’escursionismo.