Gli stili decisionali si sviluppano sin dalla tenera età. Già dai primi anni di vita, infatti, un bambino, se inserito in un contesto di relazioni negoziali, è in grado effettuare scelte di tipo economico. La conferma scientifica arriva dallo studio Fairness and intentionality in children’s decision-making realizzato dagli psicologi dell’Università Cattolica Antonella Marchetti, Ilaria Castelli e Davide Massaro, in collaborazione con Alan G. Sanfey dell’University of Arizona. La ricerca, recentemente pubblicata sulla rivista International Review of Economics, è stato condotta su un campione di 177 bambini dell’Italia del Nord con età compresa tra i 5 e i 10 anni. Suo obiettivo era capire quando i bambini cominciano a soppesare nel processo di decision-making fattori quali giustizia e intenzionalità. I bambini sono stati sottoposti a un gioco che consisteva nel verificare la loro disponibilità a dividere in modo equo con un partner un determinato bene. Ogni bambino ha giocato 10 partite avendo come partner, alternativamente, un coetaneo o una roulette, entrambi raffigurati su una scheda. I bambini avevano a disposizione 10 gettoni convertiti in caramelle o adesivi e sono stati informati che il partner avrebbe proposto come dividere i dieci gettoni. Al bambino è stato chiesto di esprimere la propria accettazione o rifiuto dell'offerta sullo stesso foglio raffigurante il proponente e l'offerta. Le proposte di divisione dei gettoni partivano da un'offerta equa e procedevano verso proposte sempre più ingiuste (5-5, 6-4, 7-3, 8-2, 9-1).
Dal test sono emersi due stili decisionali. Un primo gruppo di bambini era disposto ad accettare quasi qualunque offerta, a prescindere dall’età e dal tipo di offerente umano/roulette. Il bambino di questo gruppo si comportava davvero come un piccolo homo oeconomicus, insomma un vero e proprio massimizzatore di profitto. L’altro stile decisionale, invece, caratterizzava un gruppo di bambini più propensi a rifiutare le offerte non eque, atteggiamento questo riscontrato soprattutto nei bambini più grandi. Anche in questo caso il tipo di proponente non aveva nessun peso. «Ne deriva che il nostro “puer oeconomicus”, pur di guadagnare qualcosa, è disposto a lasciar guadagnare molto di più al partner – spiegano gli psicologi autori della ricerca –. L’altro tipo di bambino, invece, è propenso a “punire” il partner rifiutando la sua offerta, pur di non far passare una reputazione di sé come individuo disposto ad accettare le briciole».
Tutto ciò indica, dunque, che esiste una stretta connessione tra processi decisionali e scelte economiche. «Da questo punto di vista la psicologia, da una parte, può contribuire a capire come certi comportamenti adulti si costruiscono nell’infanzia – aggiungono gli psicologi – , dall’altra, può approfondirne le valenze interpersonali».
Lo studio Fairness and intentionality in children’s decision-making s’inserisce in una serie di attività che da qualche anno un gruppo di studiosi delle facoltà di Psicologia ed Economia dell’Università Cattolica (tra cui gli autori della ricerca) hanno avviato a vari livelli - per esempio la summer school su decision-making o la ricerca sulla propensione al rischio raccolto nel numero 3/2009 dell’Osservatorio monetario - con lo scopo di gettare uno sguardo multidisciplinare su una condotta umana (il decision-making, appunto) che caratterizza la vita quotidiana di ogni persona.