coltureÈ il più grande utilizzatore di terra non propria. Ma anche il maggiore importatore netto di prodotti agricoli. L’Europa tra il 2007 e il 2008 ha utilizzato indirettamente circa 35 milioni di ettari di terra extra-europea a beneficio dei suoi cittadini, l’equivalente dell’intero territorio tedesco. Sempre nel 2008, i 27 paesi membri della Ue hanno esportato 127.6 miliardi di dollari in commodities agricole, importando però prodotti per un valore di ben 173.1 miliardi di dollari, con un’importazione netta di 45.5 miliardi. I dati emergono dallo studio Produzione agricola e commercio in Europa: può una maggiore efficienza prevenire il “land grabbing” dei paesi esteri?, condotto dal centro di ricerca europeo “Opera” dell’Università Cattolica di Piacenza (www.opera-indicators.eu  da cui è possibile scaricare il report), in collaborazione con la Syngenta, il Bayer Crop Science e l’Università di Berlino. L’indagine, curata da Harald von Witzke, della Humboldt University di Berlino, e Steffen Noleppa, di Agripol, è la prima ricerca che interessa tutti i 27 stati membri, coprendo approssimativamente 40 colture e 240 categorie commerciali di prodotto. Inoltre, offre un’approfondita analisi del commercio agricolo in Europa e dell’impatto che quest'ultimo apporta sulla destinazione d’uso della terra negli stati esteri.

Le analisi dimostrano che tra il 1999 e il 2008 l’uso di terra straniera da parte dell’Europa per la produzione agricola è cresciuto del 40%, ossia 10 milioni di ettari. Ciò è visibile nei cambiamenti colturali di molti paesi esportatori e nell’aumento delle emissioni di gas serra dovuti alla conversione di foreste e prati stabili a coltura. «Ci stupiamo per l’acquisto di terra nei paesi in via di sviluppo, le deforestazioni, la riduzione della risorsa acqua, gli effetti sull’ambiente ma noi stiamo facendo esattamente lo stesso - afferma Ettore Capri, docente di Chimica agraria alla Cattolica di Piacenza e direttore di "Opera" - anche se attraverso le forze del mercato e non con investimenti esteri. Attraverso la nostra spesa giornaliera, il nostro carrello della spesa». Il contributo principale al deficit di terra dell’Europa viene dall’aumento del consumo di soia, semi e frutti di palma nonché di prodotti derivati da particolari vegetali come oli e mangimi. Il Vecchio continente ora è un esportatore netto di terra solo per quanto riguarda frumento e cereali di bassa categoria, mentre l'Italia primeggia per i prodotti di qualità e dei grandi marchi ma che purtroppo, a confronto, sono microscale spaziali.

Secondo gli autori del report la soluzione per ridurre le esternalità delle fonti alimentari sta nell’aumentare le rese agricole in Europa. Questo perché, sostengono, aumentando l’innovazione e la produttività agricola di 0.3 punti percentuali annui, si riuscirebbe a ridurre il fabbisogno di terra virtuale di 5.3 milioni di ettari. Per esempio, se il tasso di crescita annua della produzione agricola europea fosse raddoppiato tra il 1999 e il 2008 le importazioni di terra virtuale sarebbero state 10 milioni di ettari in meno, rimanendo attorno ai livelli del 1999. Di contro, espandendo del 20% gli ettari coltivati a biologico non intensivamente sostenibile, le importazioni virtuali dovrebbero aumentare di circa il 30%. Anche le politiche europee riguardo ai biocarburanti porterebbero a un aumento del tasso di importazione di terra.

«L’Europa non solo è moralmente obbligata ad aumentare le rese agricole e a usare la propria terra disponibile - osserva Alexandru Marchis, policy team coordinator del centro “Opera” - ma deve anche guardare al problema in una prospettiva strategica, tenendo conto delle implicazioni globali che derivano dalle scelte politiche e gli effetti generati dal non affrontare il tema della produttività e competitività dell’agricoltura europea». «Abbiamo qualche indizio numerico in più per sostenere che la sfida, dunque, è produrre meglio in termini di qualità e valore della produzione - osserva il professor Capri -. Per assicurare l’aumento della produttività a lungo termine in agricoltura, non solo in Europa ma a livello mondiale, è necessario che gli stati mettano a disposizione fondi per la ricerca in agricoltura e creino politiche ambientali che favoriscano gli investimenti privati nella ricerca verso uno sviluppo intensivo sostenibile per l'intera società europea».