Nel suo Educational blog dal titolo Keep Calm & Learn Social Studies il professor Fausto Colombo ha postato una lettera diretta ai suoi studenti. Un invito a condividere le sensazioni di questo momento, in cui pare di vivere “come sospesi”, ma soprattutto a fare alcune riflessioni su come gestire la comunicazione in una situazione di emergenza. Pubblichiamo la parte iniziale dell’articolo
di Fausto Colombo *
Care studentesse, cari studenti,
in molti anni di insegnamento, e ancora più di vita, questa è la prima volta che mi accade una situazione del genere: l’università (saggiamente) ha sospeso le lezioni. Mi sento sospeso anch’io, come in un limbo in cui si lavora ma in condizioni strane, fra chiostri deserti e uffici poco popolati. Cerco di vivere come al solito, ma come si può farlo in città e paesi fantasmatizzati e un po’ alieni, muovendomi come in un immaginario post-catastrofico (anche se la catastrofe non c’è ancora e speriamo non arrivi nemmeno).
Appunto, so come vivo io, ma non so come vivete voi questo momento, chi è appena entrato in università e chi invece magari pensa già alla tesi. Siete preoccupati? Vi state godendo l’inaspettata vacanza? Chi lo sa.
Per quanto concerne le lezioni, sappiamo già che le recupereremo in un modo o nell’altro, fisicamente o virtualmente. Useremo la tecnologia, la fantasia, la voglia di esserci, di insegnare e di apprendere, e porteremo a casa il risultato.
Però noi studiamo comunicazione, e non possiamo perdere l’occasione per fare insieme qualche riflessione su quanto sta accadendo, proprio usando la chiave delle nostre materie, e delle nostre consapevolezze. Ecco dunque alcune osservazioni, cui se volete potete replicare nei commenti.
Siamo – questo è certo – nel bel mezzo di una crisi. Tutte le crisi – entro certi limiti – hanno andamenti simili per quanto concerne la comunicazione. Non molti anni fa con un gruppo di colleghi abbiamo studiato la diffusione dell’influenza aviaria e il ruolo dell’informazione nel far circolare la notizia e il panico connesso. Allora avevamo osservato che uno dei problemi principali consisteva nella scarsa fiducia che i giornali e in generale le persone avevano via via mostrato nell’informazione istituzionale, con risultati addirittura tragicomici: per esempio, siccome l’aviaria veniva chiamata “influenza dei polli” un sacco di gente aveva smesso di mangiare polli ma continuava a mangiare tacchini (cosa che non aveva nessun senso a guardare anche la semplice etimologia di “aviaria”, per non parlare delle chiarissime indicazioni delle istituzioni mondiali e nazionali). Inoltre da alcune statistiche europee si poteva evincere che il nostro Paese spiccava per un non invidiabile primato: era quello in cui più forte era il gap fra la convinzione diffusa di essere informati (molto alta) e l’effettiva conoscenza della malattia e dei modi di difendersene (molto bassa). Alcuni giornali avevano poi usato titoli e illustrazioni del tutto allarmistiche (ricordo su un nostro quotidiano nazionale importante un’immagine in cui da tutti i luoghi di infezione nel mondo partivano minacciose frecce che puntavano sul nostro Paese…).
* docente di Teoria della comunicazione e dei media, facoltà di Scienze politiche e sociali, campus di Milano