di Annamaria Braccini
«Abbiamo desiderato molto condividere con lei questo momento di ringraziamento. Qui, nella cripta sotto questa cappella dove ci troviamo, vi sono le sepolture di padre Gemelli e Armida Barelli fondatori dell’Università. Tra questi fondatori vi fu anche Giuseppe Toniolo che moriva un secolo fa». Con queste espressioni monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, saluta l’Arcivescovo che presiede la celebrazione eucaristica a cento anni dalla scomparsa del Beato Giuseppe Toniolo, avvenuta il 7 ottobre 1918.
Di gioia per poter celebrare tale Eucaristia ricordando «questa figura esemplare per la storia dell’Università Cattolica e, più in generale, del cattolicesimo italiano», parla monsignor Mario Delpini nella cappella interna all’Ateneo dove, nelle prime file, trovano posto il rettore Franco Anelli, molti docenti, il Segretario generale dell’Istituto Toniolo Enrico Fusi e una nipote del Beato. Presenti anche tanti studenti, dirigenti e personale amministrativo del “Toniolo” stesso, ente fondatore e garante dell’Università. Concelebrano gli assistenti ecclesiastici.
«La questione di cosa sia l’Università Cattolica tocca sul vivo, perché appassiona o infastidisce con le sue mille problematiche e domande», osserva subito Delpini che si chiede come «dare una risposta a tale interrogativo». Due le strade indicate in riferimento alle Letture proprie della Messa per il Beato: il Vangelo di Matteo 5, 13-16 («Voi siete il sale della terra, la luce del mondo») e la Lettera di San Giacomo Apostolo al capitolo 2. «La prima risposta è quella dell’ascolto della Parola di Dio. San Giacomo critica un modo di prevaricare la fede che la separa dall’agire. La fede senza le opere è morta. È una condanna dell’atteggiamento di chi divide la logica di quanto si ascolta in Chiesa con ciò che vive all’esterno, laddove “gli affari sono affari”. Questo è un rischio anche per l’Università che, fuori da questo cappella, potrebbe avere logiche mondane che non c’entrano con il Vangelo: ma un’opera che non trova criterio e giudizio nella fede rischia di non essere compatibile proprio con il Vangelo». Poi un altro rischio, quello segnalato dall’immagine evangelica del sale che può essere una giustificazione della reticenza». Il monito è a chi, pur essendo coerente, lavorando bene e con coscienza, nasconde la sua appartenenza alla Chiesa: «Una forma di timidezza che non è nella logica della testimonianza», dice, senza mezzi termini, l’Arcivescovo.
Infine, la luce “che non può essere messa sotto il moggio, ma che deve rispendere sulla lampada”, come predica Matteo. Occorre comprendere bene, suggerisce monsignor Delpini: «Qui si può insinuare il rischio dell’esibizionismo, come se essere nella Chiesa fosse qualcosa da esibire, piuttosto che una posizione che permette di servire… Separazione, reticenza, esibizionismo. Questi tre concetti non ci indicano risposte definitive, ma guidano a vigilare su qualche rischio che c’è, sia nel proporre con chiarezza la caratteristica dell’Università Cattolica, in quanto cattolica, sia di censurare la questione, riducendo l’Ateneo alla sigla “U.C.” che, magari, non si sa nemmeno bene cosa voglia dire».
Al di là di tutto questo, c’è un’altra strada: «La risposta dei Santi, persone che hanno vissuto una responsabilità nel loro tempo, sapendo interpretare ed elaborare risposte alle problematiche in un’ottica cristiana». Come il Toniolo, «figura esemplare che può ispirare una sintesi personale capace di diventare un programma di ricerca accademica, un metodo per confrontarsi con le discipline, le scienze, le teorie correnti». Una reale possibilità di vita, insomma, «una sintesi tra fede, impegno di studio, accademico, politico, sociale e nella Chiesa» per essere cristiani nel proprio tempo, così come il Beato che, alla vigilia della morte, convinse padre Gemelli a fondare un Istituto Cattolico di Studi Superiori: cosa che avvenne nel 1920 e da lì a breve prese vita la Cattolica.
«Preghiamo il beato Giuseppe Toniolo, perché tenga vivo in noi il desiderio ardente di essere cristiani e la responsabilità inevitabile di esserlo in questo tempo, in questo luogo, nell’ambito dello studio, con il lavoro serio che bisogna affrontare ogni giorno». In sintesi, di fronte ai pericoli gravi, anche in ambito accademico, della separazione, della reticenza, dell’esibizionismo, sono necessari, nel rapporto tra fede e vita, «responsabilità, fiducia, speranza». Non a caso, le parole che l’Arcivescovo lascia come consegna.