Partono per l’Erasmus che sono ragazzi e tornano quasi adulti: studiano, escono, stringono amicizie, conoscono la città che li ospita. Bevono anche di più, ma solo per quel periodo che rappresenta un vero e proprio rito di passaggio.
È il volto degli studenti universitari che viaggiano oggi in Europa. Lo dice una ricerca che è stata presentata il 15 febbraio a Bruxelles dal titolo “Lifestyle in mobility”, condotta come capofila dall’Università Cattolica, con la collaborazione dell’Università di Cardiff e dell’associazione studentesca internazionale Aegee–Europe, finanziata dalla European Foundation for Alcohol Research.
Nello studio, che ha riguardato oltre 900 studenti provenienti da 42 Paesi europei, sono stati indagati i comportamenti legati alla salute e al benessere di circa un migliaio di study abroad students in Europa, prima, durante e dopo il soggiorno all’estero. Esattamente nel trentesimo anniversario dell’Erasmus il numero degli studenti che partecipano a questo tipo di programmi di studio è passato dai 3.000 dell’inizio ai 270.000 nel 2015, di cui 25.000 solo in Italia. Una cifra in costante crescita che attesta l’importanza di questa esperienza di vita, ormai prassi comune.
I benefici sono numerosi. Nuove amicizie, apertura mentale, deciso miglioramento della conoscenza della lingua straniera e maggiore indipendenza dalla famiglia di origine. Gli stili di vita degli studenti in Erasmus sono rimasti praticamente costanti nel periodo all’estero, per esempio per quanto riguarda le abitudini alimentari o l’igiene personale.
Una sola nota che in prima battuta può sembrare negativa è relativa al consumo degli alcolici che aumenta durante l’Erasmus, per poi tornare ai livelli precedenti la partenza quando i ragazzi tornano a casa, se non addirittura diminuire. Le molteplici occasioni di socializzare, divertirsi e stare insieme a coetanei di diversi Paesi creano l’occasione anche per bere qualche birra o drink di troppo. I cosiddetti forti bevitori (+ di 20 drink a settimana) passano, secondo i dati raccolti dalla ricerca, dal 18% di consumo di alcolici a casa al 29% durante l’Erasmus, ma la percentuale scende sotto il 15 una volta rientrati in patria. In generale la frequenza degli episodi di consumo eccessivo di alcool (binge drinking) cresce durante il soggiorno all’estero, così come le ubriacature, ma al rientro scende anche sotto i livelli precedenti la partenza.
Gli psicologi che hanno curato l’indagine, Elena Marta e Giovanni Aresi, hanno interpretato questi dati come un vero a proprio momento di transizione. «Oggi non ci sono più i riti di passaggio delle vecchie generazioni rappresentati da tappe ben scandite: studio, lavoro, (militare per i ragazzi), matrimonio, figli - ha dichiarato Elena Marta, docente di Psicologia sociale -. L’Erasmus è diventato un luogo della trasformazione identitaria dove gli studenti imparano a vivere in autonomia, pur supportati dall’università di provenienza e da quella che accoglie, ma con un progetto preciso, finalizzato ad aumentare competenze e conoscenze e a mettere le basi per il futuro mondo della professione. Gli aspetti della socialità e della convivialità si uniscono così allo studio e agli esami, quindi a raggiungere degli obiettivi».