di Velania La Mendola
La “fuga dei cervelli” non è solo un fenomeno contemporaneo. Retori e filosofi, medici, musici, astrologi, artigiani, esperti in contabilità, giuristi, e molti altre figure professionali si spostano dalla madre patria verso centri con più possibilità. Perché? Chi erano? Quali problemi affrontavano? Lo dimostrano i saggi storici raccolti nel volume Migranti e lavoro qualificato nel mondo antico, a cura di Cinzia Bearzot, Franca Landucci e Giuseppe Zecchini.
«Migrante qualificato – affermano i curatori – è chi lascia la sua patria per mettere a frutto competenze già acquisite. Si tratta comunque di una definizione moderna che non trova riscontro nelle fonti antiche. Trattandosi di una migrazione caratterizzata da numeri limitati ed elevato livello di qualificazione, in genere le comunità li accoglievano con disponibilità, inserendoli nelle forme di tutela comunque previste per lo straniero residente (per esempio, i meteci ad Atene).
Cosa li spingeva ad abbandonare la madre patria? «Le motivazioni possono essere diverse. In alcuni casi singoli o famiglie erano costretti a fuggire da contesti politici ostili (è il caso della famiglia dell’oratore Lisia). Spesso però si trattava di una libera scelta per poter mettere meglio a frutto le proprie qualifiche: sofisti, medici, astrologi appartengono a questa seconda categoria».
Da quale area del mondo antico verso dove si spostavano i migranti in cerca di lavoro? «La tendenza è quella di muoversi da zone marginali verso i centri del potere e verso la maggior disponibilità di risorse. In concreto, nel mondo greco classico il centro maggiore di attrazione è Atene, il sofista Gorgia, ad esempio, vi arrivò come ambasciatore ed ebbe un successo tale da restare come insegnante di retorica; in età ellenistica sono invece le grandi capitali ellenistiche, come Alessandria e Pergamo (il Museo e la Biblioteca attrassero un gran numero di intellettuali). Nel mondo romano, il polo di attrazione è Roma, anche se Atene conserva un ruolo culturale importante che attrae i professori di retorica».
Oggi partono ragazzi neo-laureati e quindi molto giovani o anche professionisti che però non trovano in Italia una gratificazione idonea al livello della professione, sempre under 35 solitamente. Che età ha il “migrante qualificato” di cui si parla nel libro? «Non abbiamo dati sufficienti per stabilire l’età media di questi migranti. Si tratta comunque di adulti, che hanno già acquisito vaste competenze; tenendo conto della aspettativa di vita nell’antichità, potevano avere sui 25-30 anni (età che veniva considerata di piena maturità)».
Quali aspettative di integrazione avevano questo tipo di migranti e quali opportunità? «Nel mondo greco (prendendo ancora come caso esemplare Atene) potevano ottenere ospitalità e molte opportunità di lavoro, ma non potevano aspirare ai pieni diritti di cittadinanza, che venivano concessi con estrema parsimonia. In età ellenistica lo straniero che si recava alla corte di un sovrano poteva ambire ad entrare nel circolo dei più stretti collaboratori del re, grazie al rapporto diretto con lui. Nel mondo romano invece la probabilità di ottenere la piena cittadinanza era elevata sia per i nati liberi sia per gli schiavi affrancati. In tutti i casi non era previsto un percorso giuridicamente prefissato per l’integrazione».
Quali problemi affrontavano? Ad esempio ci sono casi di espulsione? «Il problema fondamentale era quello della convivenza con i membri di una comunità in cui non si era inseriti a pieno diritto. In alcuni casi, stranieri residenti di alto livello potevano venir sospettati di arrecare danno alla città ed espulsi; è il caso dei filosofi peripatetici espulsi da Atene nel 307 a.C. perché ritenuti antidemocratici e filomacedoni, tra i quali il caposcuola Teofrasto di Ereso. A Roma, sia in età repubblicana che imperiale, ci sono ricorrenti casi di espulsioni dall’Italia di determinate categorie di migranti qualificati (filosofi, astrologi, maghi, indovini, considerati pericolosi per l’ordine pubblico)».
Chi erano gli aquilegi di cui si parla nel libro? «Erano tecnici di origine africana specializzati nella ricerca di sorgenti di acqua potabile, come il “Water Diviner” australiano del recente film interpretato da Russel Crowe per intenderci. Dall'Africa si spostavano nell'Italia ostrogota per individuare le falde acquifere e far scavare i relativi pozzi».
Qual è il caso più curioso o più attuale di cui si parla nel libro? «Vale la pena ricordare due casi contrapposti. Per Atene, quello di Lisia, meteco di origine siracusana che con la sua famiglia tentò insistentemente di farsi riconoscere la cittadinanza senza mai riuscirci, nonostante si trattasse di imprenditori ottimamente integrati sul piano sociale che avevano ampiamente collaborato anche finanziariamente con la democrazia (fine V – inizi IV secolo a.C.). Per Roma, si può segnalare il caso di Cheremone, sacerdote dell’antica religione egizia ed esperto di geroglifici, che divenne per qualche anno uno dei più fidati consiglieri di Nerone negli anni ’60 del I secolo d.C.».
Le diverse figure approfondite nelle varie ricerche trovano un parallelo reale con la cosiddetta “fuga dei cervelli” contemporanea”? «In un certo senso sì. Nelle aree periferiche del mondo greco e romano, si poteva scegliere di allontanarsi dalla patria perché mancavano le opportunità di veder apprezzate, anche dal punto di vista economico, le proprie competenze. Gorgia di Leontini e Ippia di Elide divennero sofisti itineranti perché nelle loro comunità di origine le loro abilità non trovavano sufficiente spazio di espressione e, di conseguenza, mancavano adeguate possibilità di guadagno. Posidippo di Pella lasciò una capitale meno evoluta sul piano culturale per raggiungere un centro culturale di eccellenza come Alessandria. In età imperiale un giurista di origine orientale che si era formato nella scuola di diritto di Berytus (Beirut), come ad esempio Ulpiano, doveva trasferirsi a Roma se voleva sfruttare le proprie competenze giuridiche a livello politico... situazioni che non suonano troppo diverse da alcune storie che leggiamo oggi sui giornali. Tuttavia non esisteva nel mondo antico una rete, analoga a quella odierna, di centri culturali e di ricerca che potessero attrarre “cervelli”, tranne forse la Biblioteca di Alessandria. Qualche passo avanti c'è stato».