L’attuale emergenza sanitaria ha notevolmente aggravato la precaria situazione economica del Paese: le conseguenze dell’arresto coatto delle diverse attività produttive rischiano di paralizzare l’intero sistema, che necessita ora di ingenti risorse per poter ripartire. A tutti i livelli s’invoca a gran voce l’intervento dell’Unione Europea attraverso una serie di strumenti che dovrebbero aiutare a contenere i danni causati dalla crisi. Nell’ultimo periodo, in particolare, ha assunto credito la possibilità di attivare il Mes, il tanto discusso fondo salva-Stati, solamente per ragioni sanitarie. Pochi però conoscono le rigorose regole che impone il Trattato istitutivo di questo organismo. Alessandro Mangia, professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università Cattolica, che fin dalla sua origine nel 2012 se ne occupa, nel suo ultimo libro dal titolo “Mes, l’Europa e il Trattato impossibile” aiuta a comprendere le notevoli problematicità legate a questa istituzione, mettendone in dubbio la stessa compatibilità con il nostro ordinamento costituzionale. Abbiamo avuto il privilegio di poterci confrontare con lui riguardo questo tema.
Che definizione dà del Mes, il fondo salva-Stati che tanto infervora l’opinione pubblica e su cui verte l’analisi del suo libro? «Diciamo che il Mes è un tentativo di rimediare a un buco di progettazione originario del Trattato di Maastricht del 1992: una Banca Centrale che non presentava le caratteristiche tradizionali delle Banche Centrali di tutto il mondo, essendo stata disegnata per non essere prestatore di ultima istanza, ovvero prestatore pubblico di garanzie pressoché illimitate al sistema delle banche private. In tempi di normalità, il sistema complessivamente regge. Con l’arrivo della crisi dei subprime in Europa, che si è manifestata soprattutto in Grecia, ci si è accorti di questo difetto di attribuzioni, che naturalmente non è casuale, ma voluto, visto che la costituzione economica europea è basata su un principio di forte responsabilizzazione dei bilanci pubblici. La Grande Recessione ha messo in luce la fragilità di tale configurazione, rendendo necessario l’intervento di uno strumento che potesse fornire aiuti finanziari, a certe condizioni, ai Paesi dell’eurozona indebitati. Si è così deciso di inventare dei surrogati funzionali della Bce, come il Mes, che è però un’istituzione davvero ambigua».
In che cosa consiste questa ambiguità? «Il fondo salva-Stati, come dice l’articolo 32 del Trattato che gli è stato dedicato all’interno del Tfue, è sostanzialmente una banca, che interviene per sostenere istituti di credito nazionali o bilanci pubblici con la logica del diritto bancario e di quello fallimentare. Tuttavia tale articolo, prendendo spunto dallo statuto del Fmi (Fondo Monetario Internazionale), concede a questo soggetto giuridico di diritto internazionale (anche se raccordato dall’art. 136/3 all’ordinamento dell’Ue, altra stranezza) il sistema di prerogative e immunità che sono tipiche delle rappresentanze diplomatiche. E qui arrivano i problemi, perché è vero che il Mes nei progetti dell’Unione doveva essere una sorta di Fmi europeo, ma è altrettanto vero che quest’ultimo opera in una logica di internazionalismo e di sostegno allo sviluppo di tutte le nazioni, è agganciato all’Onu, a nessun Paese in particolare, mentre il Mes ha finalità più limitate, essenzialmente riconducibili all’obiettivo della stabilità monetaria dell’area euro. È un semplice accordo intergovernativo tra gli Stati dell’eurozona».
Queste prerogative e queste immunità tratte dallo statuto del Fmi possono scontrarsi con gli ordinamenti e con le costituzioni nazionali degli Stati membri? «Ovviamente sì, c’è incompatibilità tra queste zone di immunità e gli ordinamenti costituzionali nazionali. Basti pensare all’art. 35 del Trattato, per cui il Mes, i componenti dei suoi organi di governo e chi lavora al suo interno sono coperti da piena garanzia funzionale e quindi non possono commettere reati né essere soggetti a qualunque altra forma di responsabilità. Secondo gli ordinamenti nazionali dei Paesi membri, invece, il principio di pienezza di tutela giurisdizionale non sembra ammettere deroghe (In Italia, art. 24 della Costituzione). Oppure all’art. 34 dello stesso Trattato, secondo cui chi opera all’interno del Mes ha l’obbligo di non divulgare informazioni coperte da segreto professionale; a causa di tale vincolo i vari Ministri dell’Economia degli Stati membri, che fanno parte del board dei governatori del Mes e allo stesso tempo sono figure cardine di un governo politicamente responsabile verso un Parlamento, che pretende trasparenza e chiarezza comunicativa, si ritrovano nella spiacevole situazione di decidere cosa dire e cosa no, suscitando spesso rimostranze da parte dei parlamentari, come accaduto lo scorso giugno all’allora Ministro dell’Economia Giovanni Tria. Queste zone grigie hanno dato adito all’impugnazione e all’abrogazione di alcuni articoli del Trattato Mes, in Germania nel 2012, ancor prima della sua entrata in vigore, con conseguente necessità di trovare una soluzione per non vanificare le ratifiche già effettuate altri Stati. Nel tentativo di accogliere le correzioni operate dalla Corte Costituzionale tedesca, i diversi Paesi, compresa l’Italia, con la tecnica delle riserve diplomatiche, hanno introdotto un testo diverso da quello ratificato in Parlamento, e presente oggi in Gazzetta Ufficiale, rendendo il tutto ancora più controverso».
Che cosa pensa del cosiddetto Mes Light per le spese sanitarie dirette e indirette che oggi è al centro del dibattito pubblico? «C’è grande polemica su questa linea precauzionale di finanziamento da 36 miliardi (2% del PIL), ma in realtà si sta discutendo di tematiche non cruciali, visto che tale somma non appare dirimente in rapporto al Bilancio statale italiano, pari a circa 800 miliardi, e al Pil di oltre 1.600 miliardi. Il problema di fondo è che, allo stato attuale, attivare il Mes, anche solo per l’emergenza sanitaria, vuol dire imporre all’Italia di sottostare a quelle rigorose condizionalità che prevedono una “sorveglianza rafforzata” per quei Paesi che usufruiscono dei prestiti e che hanno rappresentato la condicio sine qua non della stessa istituzione del Mes. Il cosiddetto Mes Light dunque, a legislazione invariata, non si può fare o meglio potrebbe essere facilmente impugnato per violazione del trattato Ue da uno qualsiasi dei 19 Stati dell’eurozona davanti alla Corte di giustizia europea, con scontate probabilità di vittoria. In quest’ottica la lettera di Gentiloni e Dombrovskis al presidente dell’Eurogruppo Centeno è una manifestazione di buone intenzioni politiche e nulla più. Tuttavia derogando o sospendendo la normativa vigente con un Regolamento o con una decisione del Consiglio europeo, l’erogazione di un credito light per ragioni sanitarie diventerebbe possibile».