È morto a novant’anni George Steiner, tra i più influenti critici letterari del Novecento. Nato in Francia nel 1929, da una famiglia di ebrei viennesi che qualche anno prima aveva lasciato l’Austria per timore dell’antisemitismo, per sfuggire al nazismo lasciò poi l’Europa insieme alla famiglia per gli Stati Uniti nel 1940, diventando cittadino americano. Nella sua lunghissima carriera di accademico e critico letterario, ha pubblicato oltre venti opere, che spaziano da Heidegger all’eredità di Antigone e della tragedia greca nel canone occidentale. Ha insegnato a Princeton, a Cambridge, a Ginevra, ha scritto per i giornali internazionali e per decenni è stato il critico di punta del New Yorker.
Il critico letterario nel 2012 presentò nell’Aula Magna del nostro Ateneo l’edizione italiana de “Il libro dei libri”. “Cattolicanews” presentò con le parole che seguono la traduzione della sua opera pubblicata per i tipi di “Vita e Pensiero”.
di Maria Villano
«Tutti gli altri nostri libri, per quanto differenti riguardo all’argomento o al metodo, fanno riferimento, direttamente o indirettamente, a questo “libro dei libri”». Queste parole che definiscono la Bibbia ebraica, il “libro dei libri” appunto, sono di George Steiner, critico letterario di fama internazionale, personalità eclettica dagli interessi che attraversano le discipline più diverse, considerato uno degli ultimi grandi spiriti europei.
Proprio la sua straordinaria capacità di stabilire interconnessioni inedite è alla base della sua opera uscita in Italia per i tipi di Vita e Pensiero: Il libro dei libri. Un’introduzione alla Bibbia ebraica, pubblicata in lingua originale nel 1996 a Londra dalla casa editrice Faber and Faber con il titolo A Preface to the Hebrew Bible. L’edizione italiana è stata presentata il 7 maggio 2012 in Università Cattolica in un’Aula Magna gremita di docenti e studenti: a dialogare con l’autore, oltre all’editore Aurelio Mottola, c’erano anche Carlo Ossola, professore al Collège de France di Letterature moderne dell’Europa neolatina e direttore dell’Istituto di Studi Italiani di Lugano, e Pierangelo Sequeri, teologo e musicista.
L’opera di Steiner, strutturata come un saggio introduttivo al cosiddetto “Vecchio Testamento”, si configura innanzitutto come un invito a leggere la Bibbia ebraica come testo autonomo, fuori dalla correlazione con il “Nuovo Testamento” in cui, secondo gli ebrei, è stata forzatamente posta. Per questo, ha spiegato l’autore, «per gli ebrei il concetto di “Vecchio Testamento” non ha senso: bisogna parlare solo di Bibbia ebraica».
La riscoperta di questo testo nella sua integrità permette di far emergere la sua vera natura e soprattutto la sua «straordinaria forza generativa»: si tratta infatti di un’opera estremamente feconda, una sorta di «inventario dell’animo umano», ma anche un repertorio di generi letterari, che racchiude in sé una pluralità di voci e di stili. Vi si trovano capitoli di storia, raccolte di proverbi, parti descrittive e narrative che hanno fondato i generi letterari e hanno esercitato un’influenza profonda su autori della letteratura di tutto il mondo e di tutte le epoche, da Dante a Shakespeare: per fare solo un esempio, il lamento di Davide sul corpo di Jonathan non potrebbe essere all’origine dell’analoga scena nel Macbeth?
Ma la ricchezza inesauribile della Bibbia ebraica sta anche nella vitalità ermeneutica che ha stimolato in passato e che tuttora è viva e vitale: è un testo che continua a interrogare l’uomo, che esige di essere tradotto e interpretato ed è per questo motivo che costituisce – o meglio, dovrebbe costituire – una lettura fondamentale per gli studenti universitari. È il desiderio che ha espresso Carlo Ossola chiudendo il suo intervento: «Dobbiamo dire ai nostri studenti che leggere la Bibbia vuol dire essere continuamente sollecitati, che l’Università non offre niente, non vende niente, semplicemente affina ed eleva le domande».