Una rinnovata “terza missione” è alla base della riflessione che gli studiosi dell’Associazione Teologica italiana per lo Studio della Morale (Atism) hanno proposto nel “manifesto” dal titolo “Etica, per un tempo inedito” contenente considerazioni circa sfide e risorse per il dopo Covid-19, viste con l’occhio del teologo morale: un modo per provare a riflettere su come il periodo più violento della pandemia abbia inciso sugli stili di vita nei contesti quotidiani, nelle relazioni interpersonali e familiari e nella più vasta trama dei legami sociali e comunitari.
Sul significato di tale documento e sui temi affrontati hanno offerto alcune considerazioni due tra gli estensori del documento, Pier Davide Guenzi e Gaia De Vecchi, docenti di Teologia in Università Cattolica, e rispettivamente presidente Atism e delegata sezione nord.
L’Associazione, fondata nel 1966, sin dagli albori ha raccolto gli studiosi di teologia morale attorno a progetti di riflessione non solamente interni al proprio sapere, come spiega il presidente don Guenzi: «La teologia morale da sempre si interroga sulle problematiche del nostro tempo. Al di là dei molti temi emersi nel “manifesto”, c’è un collegamento a doppio filo che li attraversa: la teologia ha una parola da spendere nell’ambito della vita pubblica e dei suoi differenti saperi e non può non lasciarsi interpellare dalle situazioni vissute nell’elaborazione della vita buona personale e sociale secondo il Vangelo. La parola della teologia acquista sempre un carattere costruttivo e ricostruttivo per tentare di esprimere un senso e indicare una direzione. Una parola carica di pudore per non profanare la dignità dell’altro e dell’altra, per non produrre ulteriore violenza, ma intessere un colloquio pieno di rispetto e di riconoscimento. Il pudore di chi si espone con il proprio pensiero all’incontro con l’altro secondo uno stile di sincerità, di trasparenza, di verità, anche quando non rinuncia all’esercizio della critica e reagisce nei confronti di possibili inerzie e derive problematiche presenti nella cultura, nella vita socio-politica e economica del nostro tempo».
Risulta altresì significativo che la data di pubblicazione del documento sia quella del 2 giugno, festa della Repubblica. Come afferma don Guenzi «il testo definitivo del “manifesto” è stato volutamente siglato con la data della festa della Repubblica nella consapevolezza di offrire una riflessione costruttiva non solo all’interno della comunità dei credenti, ma pensata per entrare in dialogo con quanti, nell’ambito della più vasta cittadinanza, si sentono impegnati a dare il proprio contributo di pensiero e di azione nei mesi che stanno davanti a noi».
Le riflessioni proposte si intrecciano con il magistero di Papa Francesco nel ripensare il dopo-Covid. «Una chiave interpretativa e di discernimento propositivo che percorre tutto il “manifesto” è la “cultura dello scarto” sulla quale Francesco ha molto insistito in più occasioni. La pandemia ha mostrato con chiarezza come questa logica dello scarto possa non solo fermarsi ai caratteri economici del vivere ma, nelle pieghe delle quotidiane scelte in situazioni di estrema urgenza e scarsità di risorse, rischia di radicarsi, a livello di cultura, nella percezione stessa della dignità della persona dando luogo a una produzione di “rifiuti umani” o, più precisamente, di esseri umani “scartati”, come ha precisato il professor Guenzi.
Alla professoressa Gaia De Vecchi abbiamo chiesto come si sia giunti a un’unanimità di vedute circa i temi indicati per la ripresa del dopo-Covid, considerando le varie sensibilità dei teologi: «Su questo punto – è davvero piacevole ricordarlo! – ci siamo confrontati quasi accanitamente. Ciascuno di noi ha degli interessi esistenziali e di studio personali e istituzionali. I nostri percorsi non sono immediatamente sovrapponibili. Siamo variegati come formazione, vocazioni esistenziali, genere, preoccupazioni, spiritualità. Il confronto ha fatto emergere dei temi settoriali (ma non per questo secondari), e dei filoni di riflessione più conglobanti. Nel “manifesto” abbiamo dato delle “direzioni”, delle “linee”. Siamo tutti sul “chi vive”, in allerta, e speriamo che tali spunti siano, nel contempo, attenzione alle pieghe del quotidiano, ma anche strutture metodologiche e sintesi portanti per la vita personale e quella sociale».
Quale messaggio, allora, emerge per il dopo-pandemia: per tutti e in particolare per la comunità universitaria? Per la professoressa De Vecchi siamo ancora, in qualche modo, “dentro” la pandemia. “Uno sguardo più lucido sarà disponibile tra mesi, se non anni… Intanto abbiamo bisogno di ricerca, di onestà intellettuale, di trans-disciplinarietà, di speranza e di respiro di futuro. E anche di investimenti: umani ed economici. In tutta questa consapevolezza, l’Atism ha ben chiara la collaborazione che può scaturire dalla comunità universitaria. In tutte le sue componenti. Dai colleghi docenti, che proseguono nelle proprie e comunitarie ricerche e sanno mettersi in dialogo, ai colleghi ‘non docenti’, che sono il motore imprescindibile per le nostre attività. Dai giovani già presenti – che hanno saputo e sanno rimettersi in gioco – ai giovani che verranno, cui, insieme, stiamo preparando il terreno. Anche per il loro ruolo sociale, ultimamente troppo ignorato o estromesso dalle stesse politiche giovanili».
E per la teologia morale, cosa vuol dire che "nulla sarà più come prima"? «Si tratta di una affermazione in qualche modo vera» afferma Gaia De Vecchi. «Ma da non assolutizzare. Siamo convinti che nemmeno il suo estremo opposto (“tutto sarà diverso”) sia corretto. Siamo profondamente convinti che questa sia un’occasione unica (ben più che rara) per riflettere sulla nostra moralità, esercitando un sano discernimento, intra ed extra ecclesiale, per chiederci, semplicemente ma profondamente: cosa è umano, oggi?».
Da qui l’invito rivolto ai docenti e soprattutto agli studenti a leggere per intero il ‘manifesto’ e a far pervenire osservazioni e riflessioni direttamente sul blog Moralia della rivista Il regno su cui è stato pubblicato integralmente.