di Umberto Frigelli * e Claudio Lucifora *
Quando la crisi finanziaria, nel 2007-2008, ha cominciato a stravolgere il mondo della finanza e degli affari, i consigli di amministrazione delle aziende hanno fatto appello ai propri CFO (Chief Financial Officer) per affrontare l’emergenza. Il ruolo e l’operato del CFO per molte imprese ha significato la salvezza oppure il fallimento. La pandemia scatenata del Coronavirus (Covid-19) ha costituito nell’immediato una sfida completamente diversa per le aziende che, nel giro di poche settimane, hanno dovuto rivedere completamente l’organizzazione del lavoro, attivare modalità di lavoro agile e implementare procedure di messa in sicurezza sanitaria mai sperimentate prima. In questa emergenza le imprese hanno dovuto rivolgersi ai propri responsabili HR (Human Resources), che dall’abituale routine di gestione del reclutamento, motivazione e incentivazione dei dipendenti sono stati catapultati al centro del tifone epidemiologico che, in poco tempo, ha spazzato tutte le pratiche organizzative consolidate nel tempo.
Mai più di ora, le competenze delle risorse umane e il controllo dell’organizzazione del personale sono state più critiche e determinanti per affrontare in sicurezza l’emergenza. In primo luogo, per le imprese che hanno potuto proseguire l’attività, c’è l’imperativo di mantenere i dipendenti in salute e proteggerli dalle fonti di contagio. In secondo luogo, è stato necessario contrastare la paura diffusa tra i dipendenti e mantenere alto il morale. La sfida maggiore, tuttavia per molte aziende, è stata quella di passare a una modalità di lavoro agile, attivare il telelavoro, superando in pochissimo tempo le mille difficoltà (tecnologiche, sicurezza, tutele e monitoraggio) che fino a pochi mesi fa ne avevano rallentato la diffusione. Altre aziende, soprattutto quelle nei settori più esposti (nel commercio, turismo, servizi, ecc.) e le piccole a gestione familiare e poco tecnologizzate, stanno affrontando scelte più difficili. Le imprese la cui attività è stata sospesa, in tutto o in parte, hanno dovuto ricorrere agli ammortizzatori sociali e, in alcuni casi, anche al ridimensionamento degli organici fino al licenziamento dei dipendenti. Ai responsabili delle risorse umane viene richiesto di trovare un equilibrio tra la necessità di preservare l’operatività futura e il patrimonio di competenze in termini di capitale umano, e la necessità immediata di tagliare i costi per garantire la sostenibilità finanziaria.
Per capire come le aziende stanno reagendo alla crisi epidemiologica, che in alcune zone del Paese come nelle regioni del nord si protrae orami da diverse settimane, alcune associazioni hanno avviato delle istant survey tra i propri associati. Tra le prime AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale), che raccoglie più di tremila iscritti in tutta Italia, ha somministrato nelle scorse settimane due indagini approfondite sulla percezione della crisi provocata dal COVID-19 e sulle misure prese anche in seguito alle restrizioni progressivamente imposte dal Governo, a cui hanno partecipato circa 650 Direttori delle risorse umane. Sin dalle prime settimane dell’emergenza (26 febbraio- 14 marzo) è emerso che più del 90% dei responsabili HR delle aziende intervistate aveva adottato delle misure di riorganizzazione del personale. Rispetto alle misure messe in atto, il 68% degli intervistati ha dichiarato di aver attivato modalità di lavoro agile, e nel 50% dei casi di aver messo in atto misure precauzionali rivolte ai dipendenti che presentano sintomatologie influenzali (come la rilevazione della temperatura). Traspare anche molta incertezza sul futuro. Quasi la metà degli intervistati (48%) afferma di non essere in grado di prendere decisioni in merito alla durata dell’emergenza e le prospettive di ripresa. Rispetto ai provvedimenti governativi e alle disposizioni di chiusura degli esercizi commerciali (Dpcm 11 marzo 2020) la risposta dei Direttori del personale è sostanzialmente favorevole (86%). Traspare più incertezza circa i provvedimenti di sospensione di tutte le attività produttive non essenziali. Sebbene alcune aziende (FCA, Decathlon, Ikea, ecc.) l’abbiano adottata unilateralmente prima dei provvedimenti governativi, solo la metà (52%) degli intervistati, prima del Dpcm del 22 marzo 2020, si dichiarava favorevole alla sospensione delle attività produttive. In ogni caso, emerge una preoccupazione diffusa sulle ricadute economiche ed occupazionali dell’emergenza epidemiologica e delle misure di contenimento sociale che interessa quasi il 90% degli intervistati.
Un’altra indagine svolta da Federmanager presso 1.452 Direttori del personale restituisce uno spaccato simile. Quasi la metà degli intervistati (52%) si dichiara soddisfatto delle misure complessivamente intraprese dall’azienda per contrastare gli effetti immediati dell’emergenza epidemiologica, e sostanzialmente favorevole al mantenimento delle modalità di lavoro agile, almeno in parte, anche dopo l’emergenza (70%). Prima degli ultimi provvedimenti, tra gli intervistati emerge una forte resistenza alla chiusura totale delle attività produttive, nei confronti della quale oltre il 75% degli intervistati si dichiara contrario. Emerge anche una contrarietà diffusa ad utilizzare modalità ‘forzate’ di riduzione dell’orario di lavoro come ferie obbligatorie o permessi non retribuiti (70%). L’impatto atteso dalla sospensione delle attività sui fatturati delle aziende, nel caso di ripresa dopo 15 giorni, viene stimato pari ad una riduzione dell’ordine del 10-20% da più del 60% degli intervistati, tale previsione diventa più negativa in riferimento a scenari futuri in cui più del 90% si aspetta una crisi profonda sia per la propria azienda, sia per l’economia mondiale. Emerge una valutazione molto positiva per l’operato della sanità pubblica (85%) e per la reazione del mondo produttivo (80%), mentre traspare un’insoddisfazione profonda nei confronti delle istituzioni, della politica (30-40% totalmente insoddisfatti o poco soddisfatti), dei sindacati e dei media (60% insoddisfatti).
Al di là dei freddi numeri delle indagini statistiche che possono fotografare un particolare momento, nei prossimi mesi, i Direttori del personale saranno ancora in prima linea per la gestione straordinaria dei dipendenti, riorganizzazione del lavoro e la ripresa delle attività. In primo luogo, bisogna considerare che la pandemia suscita inevitabilmente un sentimento di paura, legata alle conseguenze di un possibile contagio. Questo sentimento ha preso corpo via via che l’emergenza è apparsa più chiara nella sua diffusione e nelle sue conseguenze, e si sta manifestando in forme diverse sia a livello individuale sia collettivo.
L’eventuale ripresa delle attività, parziale o totale, richiederà notevoli sforzi di relazione e negoziazione con le parti sociali, affinché siano garantite adeguate misure di prevenzione e sicurezza sul lavoro. Un’eventuale ripresa graduale rivolta prima ai lavoratori più giovani e solo in seguito ai lavoratori senior, come recentemente proposto da alcuni commentatori, dovrebbe evitare di generare una percezione di diffidenza e resistenza al lavoro. Infatti alle paure legate al pericolo reale si sommano le ansie derivanti dall’incertezza sui rischi di contagio e sull’efficacia delle misure precauzionali. I ritardi accumulati e le difficoltà nell’assumente decisioni da parte delle Direzioni HR, si spiegano anche con la complessità della struttura direzionale in cui molti sono chiamati a scelte complesse che investono aspetti economici, sociali, normativi, strategici e, non ultimo, di immagine dell’azienda. La crisi che le aziende italiane stanno vivendo ha rapidamente cambiato la percezione dei Direttori HR e del personale nei confronti delle tecnologie, del lavoro agile e di una generale riorganizzazione digitale delle attività, inducendo molti a pensare che non sarà possibile tornare indietro, e che il lascito della crisi epidemiologica sarà soprattutto una rivoluzione epocale del nostro modo di lavorare e di interagire.
In questo momento, parafrasando una dichiarazione rilasciata in una recente intervista al Financial Times dall’ex presidente della BCE Mario Draghi, ai Direttori del personale è richiesta “visione” e “velocità”, le aziende e i lavoratori ne hanno bisogno e lo meritano.
* Coordinatore nazionale Centro Ricerche AIDP, è membro del direttivo del master ASAG “Gestione e Sviluppo delle Persone nelle Organizzazioni” e del Comitato di indirizzo della facoltà di Psicologia
* Docente di Economia del lavoro nella facoltà di Economia dell’Università Cattolica. È consigliere esperto del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (Cnel)