I migliori specialisti italiani e internazionale si sono riuniti a Roma il 23 e il 24 maggio in un congresso all’Università Cattolica per un confronto a tutto campo su ricerca, percorso diagnostico e trattamento dei bambini con sindrome da deficit di attenzione e iperattività. Il congresso è stata l’occasione per fare il punto su genetica, inquadramento diagnostico, diagnosi differenziale e la comorbilità, nonché sulle nuove prospettive nella ricerca, sugli aspetti ambientali, sociali e biologici collegati alla sindrome, sul registro nazionale dell’uso dei farmaci e sulle riflessioni e sull’analisi critica delle linee guida italiane ed europee nel trattamento dell’ADHD.
L’ADHD rappresenta uno dei più importanti disordini dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente. Sindrome ipercinetica, minimal brain damage, minimal brain dysfunction, reazione ipercinetica del bambino, disturbo da deficit di attenzione e, infine disturbo da deficit di attenzione/iperattività. Sono le definizioni date nel tempo a questo disturbo e ai soggetti il cui comportamento è caratterizzato da disattenzione, iperattività e impulsività.
«È essenziale sia il riconoscimento precoce di un quadro comportamentale riferibile all’ADHD – ha spiegato la neuropsichiatra infantile della Cattolica Giulia Maria Torrioli, promotrice dell'incontro, - sia l’invio a un centro di Neuropsichiatria Infantile, per il follow-up terapeutico ed assistenziale. È necessario far luce sul disturbo dell'infanzia che è responsabile di profondi disagi nelle famiglie e nella scuola e soprattutto è causa di sofferenza per il bambino. Il bambino iperattivo non è un bambino cattivo, ma un bambino che ha bisogno di aiuto per superare le difficoltà che nel tempo possono influire negativamente su di uno sviluppo equilibrato ed armonico della personalità».
Analisi del sangue, genetiche o con tecniche radiologiche, e non solo, valutazione dei comportamenti per diagnosticare la sindrome da deficit di attenzione e iperattività nei bambini sono una nuova conferma che la malattia ha basi biologiche: «È sempre più chiara la presenza di caratteristiche biologiche dell'ADHD – ha detto la Torrioli, - e quindi la possibilità di utilizzare dei 'marker'. Al congresso si è parlato della presenza di alcuni anticorpi, evidenziabili da analisi del sangue. Ma ci sono anche studi che mostrano la possibilità di utilizzare risonanze magnetiche, elettroencefalografie (con alterazioni della risposta allo stimolo acustico), indicazioni genetiche».
E si tratta di prospettive non troppo lontane, come dimostra uno studio presentato al convegno. «In collaborazione con il Dipartimento di Medicina molecolare dell' Università Sapienza di Roma - spiega Renato Donfrancesco, neuropsichiatra dell'ospedale capitolino Sandro Pertini - un primo step per capire se effettivamente esiste un ‘marker’ biologico in bambini con sindrome da deficit dell'attenzione e iperattività. Abbiamo così scoperto alcuni anticorpi, rivolti contro strutture cerebrali, che sembrano nettamente più rappresentati nei bambini malati rispetto ai controlli. Su un campione di 60 bambini (contro 58 di controllo) il 78% presentava questi anticorpi, evidenziabili solo nel 6% dei controlli. Con una specificità molto alta, del 91%. Tuttavia, anche se i dati sono incoraggianti e l' idea è buona, non siamo convinti che sia la soluzione definitiva del problema. E sarà comunque necessario approfondire le ricerche, allargandole a una popolazione molto più elevata».
«Negli ultimi anni i maggiori progressi nel settore - spiega Paolo Curatolo, ordinario di neuropsichiatria infantile all' Università romana di Tor Vergata - ci arrivano dai dati della genetica e dalle neuroimmagini cerebrali. Indicazioni che confermano, in modo definitivo, che il disturbo da deficit di attenzione e iperattività ha una base nel cervello e ha una forte componente ereditaria. Si tratta di un problema potenzialmente grave per la salute mentale del bambino, che deve quindi essere trattato. Ma soprattutto deve essere ben riconosciuto. Oggi il riconoscimento è legato ad una "valutazione diagnostica complessa - continua Curatolo - fatta da neuropsichiatri infantili sulla base non solo dell' osservazione del bambino, ma anche con l' uso di specifici test e questionari somministrati al bambino, ai genitori, agli insegnanti, in modo da raccogliere da maggiore fonti possibili le caratteristiche cognitive e comportamentali del bambino».
«Un piccolo con Adhd - ricorda Maria Giulia Torrioli - non è un bambino vivace, ma affetto da un disturbo che comporta un disagio tale da influire sulle capacità e il funzionamento cerebrale del bambino, oltre che sulle sue relazioni familiari e sociali", spiega l' esperta sottolineando che "si tratta una malattia che colpisce il 3 - 5% della popolazione in età scolare. E non solo perché - aggiunge l' esperta - il disturbo rimane, se non trattato, anche negli adulti. Ma perché in generale sono bimbi che, oltre ad andare incontro all' insuccesso scolastico e all’esclusione dal gruppo dei coetanei, sviluppano, in misura notevolmente maggiore rispetto alla popolazione generale, comportamenti delinquenziali, antisociali e di dipendenza. In Italia – conclude Torrioli - a dispetto di allarmi sull'abuso dei farmaci in questo settore, la malattia è sotto diagnosticata e, soprattutto, sotto trattata. Nel nostro Paese l' uso dei medicinali per la cura della sindrome è inferiore rispetto agli Stati Uniti ma anche rispetto a tutte le altre nazioni europee».