Nuove regole per correggere le distorsioni del mercato. Ma soprattutto nuovi valori cui conformare i comportamenti degli operatori economici. È questa, secondo il professor Giovanni Bazoli, la condizione imprescindibile perché si instauri davvero una “democrazia economica”, in assenza della quale si profila quella deriva utilitaristica, orientata alla ricerca dei massimi arricchimenti aziendali e individuali, che nessun intervento successivo può essere in grado di riequilibrare. Un tema caro al presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, che di recente, insieme a Ernst-Wolfgang Böckenförde, tra i maggiori giuristi contemporanei, ha pubblicato per la casa editrice Morcelliana un breve testo dal titolo: Chiesa e capitalismo. Lo scorso 8 giugno il volume è stato presentato nella sede romana dell’Università Cattolica nel corso di un incontro promosso dal Centro di Ateneo per la dottrina sociale della Chiesa dell’Università Cattolica e introdotto dal rettore Lorenzo Ornaghi. Oltre al professor Giovanni Bazoli, sono intervenuti Luigi Campiglio, ordinario di Politica economica e prorettore, Claudio Magris, professore emerito all’Università di Trieste, e monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana.
Un dibattito a più voci dove i richiami alla recente crisi economica sono continui. Secondo Bazoli, infatti, la crisi ha evidenziato lacune nelle regole e vizi di comportamento. Di qui l’esigenza di introdurre negli ordinamenti nazionali e internazionali nuove regole e una nuova tavola di principi. «Il grande problema che le regole dell’economia devono risolvere - ha osservato - è contemperare la tutela della libertà con quella dell’equità e dell’uguaglianza. Ma, da giurista, mi preme in primo luogo un approfondimento – per l’appunto di ordine giuridico – sul rapporto tra diritti di libertà e doveri di solidarietà. Poiché l’etica serve a indirizzare i comportamenti negli spazi di libertà, ossia nell’esercizio dei diritti, occorre riconoscere, come afferma l’Enciclica Caritas in veritate, che esiste una connessione inscindibile tra diritti e doveri, perché non solo i doveri ma anche i diritti rimandano a un quadro antropologico ed etico che conferisce loro un senso compiuto». Occorre, dunque, che l’operatore avverta anche nell’esercizio dei diritti che gli competono la propria responsabilità di “cittadino”, cioè di membro e protagonista della comunità democratica. «L’interesse generale, che può essere definito “bene comune”, è l’orizzonte in cui devono collocarsi le scelte che gli uomini di impresa compiono anche nella sfera di libertà individuale loro riconosciuta - ha detto il professor Bazoli -. Da questo punto di vista può risultare utile una nuova formazione manageriale di ordine culturale e etico, che superi i criteri correnti, teorizzati nelle scuole di formazione manageriale e ispirati al postulato che la soddisfazione di utilità particolari si traduca automaticamente in una crescita del benessere collettivo. Da ciò potrebbe derivare l’adozione di diversi criteri di valutazione del merito nella conduzione delle aziende».
Anche monsignor Crociata ha insistito sulla necessità di ricondurre il profitto nell’orizzonte del bene comune. «Il problema della crisi economica o, comunque, l’evoluzione accelerata imposta all’economia mondiale dai processi di globalizzazione, non possono essere adeguatamente affrontati prescindendo da un recupero di visione integrale della persona umana: una persona che non è una monade persa dentro una vita ridotta a mero ripetitivo esercizio di produzione e consumo, ma una persona che è costitutivamente soggetto di relazioni». Secondo il segretario generale della Cei l’enunciazione di principio di una ripresa di coscienza della questione antropologica nella sua interezza deve dare seguito una proposta educativa proporzionata, che non a caso si segnala sempre di più come una emergenza che non sta a cuore solo alla Chiesa.
Secondo il professor Campiglio, Bazoli nel suo saggio individua nell’affermazione di una sempre più forte “democrazia economica” il necessario contrappeso agli squilibri del mercato, perché capace di contemperare le istanze di libertà e uguaglianza e ricomporre la spinta centrifuga alla disuguaglianza di quei sistemi economici che non riescono a coniugare la logica economica con la domanda altrettanto pressante di giustizia sociale e solidarietà. «È questa la visione di un’economia “gentile” - ha osservato il docente di Politica economica - perché nobilmente orientata ai bisogni oltre che ai meriti, ma è anche un’economia più robusta perché solidale, in cui l’impersonalità del mercato è temperata dal riconoscimento del nome e cognome di persone libere e uguali». Perché, come ha detto lo stesso Bazoli citando le parole della Costituzione, l’obiettivo è «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».