Le pagine culturali di tutti i quotidiani hanno parlato dello scrittore Eugenio Corti, morto la sera del 4 febbraio nella sua casa natale, a Besana, in Brianza. Aveva 93 anni. La critica ha riconosciuto nelle sue opere, in particolare ne “Il cavallo rosso”, un impegno morale singolare e una qualità letteraria che annoverano Corti tra i romanzieri di prim’ordine del secondo Novecento.
Eugenio Corti è un “figlio” dell’Università Cattolica. La Seconda guerra mondiale lo strappa agli studi di Giurisprudenza. Parte per il fronte russo dove, ventunenne, è tenente d’artiglieria. Le atrocità della guerra lo segnano nel profondo, così come rimane scosso dalla testimonianza e dalla fede eroica di un giovane cappellano militare, don Carlo Gnocchi con il quale stringerà una grande amicizia. Don Carlo celebrerà le sue nozze. In Russia, Corti vive un’esperienza atroce, raccontata nel suo primo libro “I più non ritornano” (Garzanti 1947) che s’impone all’attenzione italiana.
Il filosofo Benedetto Croce giudica il libro “una lettura angosciosa e straziante, alla quale non manca la consolazione del non infrequente lampeggiare della bontà e della nobiltà umana”. L’opera non sfugge a Mario Apollonio, allora docente e preside di Lettere in Cattolica, che scrive: “I fatti sono brutali: fatti degli uomini che hanno superato i limiti della resistenza umana, fatti delle mille maniere di morire: di fame, di freddo, di pazzia, di tradimento, di bestialità, di odio…”. Il 1947 è anche l’anno della laurea in Giurisprudenza che avviene nella sessione d’ottobre dopo ininterrotti mesi d’esami che i reduci, per una disposizione straordinaria di padre Gemelli, potevano sostenere al di fuori degli appelli.
“I più non ritornano” entrano nella grande memorialistica di guerra al fianco di Giulio Bedeschi e Mario Rigoni Stern, ma non si fermano alla minuziosa narrazione dell’accaduto: Corti s’interroga sul mistero del male che, in quella precisa circostanza storica, aveva preso il volto della guerra. La domanda si ripeterà presto di fronte alle rivelazioni sullo sterminio nazista e sui gulag sovietici; e continuerà a ripresentarsi, scritto dopo scritto, nelle vicende che accompagnano il Novecento. “Il cavallo rosso” - pubblicato da Ares nel 1983, ora giunto alla 24° edizione e tradotto in otto lingue compreso il giapponese - è il capolavoro di questa indagine critica ed etica di un popolo attraverso la storia di una famiglia. Si è parlato di “romanzo corale”, di respiro tolstojano ma anche di sensibilità alla Dostoevskij.
Scrivere diventa l’impegno civile di non cancellare la memoria storica ma diventa anche la missione morale di cercare la verità attraverso la conoscenza dell’uomo, del suo agire, della sua ricerca di senso che è domanda di Dio. Lo scrittore è uomo di fede, di una fede messa alla prova dalle circostanze storiche, ma anche consolato dalla stessa fede che gli mostra la bontà umana là dove è impensabile, gli parla di misericordia, lo sostiene con la speranza, lo consola con la compagnia di Dio. Il giovane cattolico che parte per il fronte ritorna uomo di convinzioni ancora più solide e con la determinazione a lottare per affermare verità e giustizia. Così negli anni Cinquanta incomincia a battersi contro le ideologie e a scrivere sui guasti che esse producono. Escono “Processo e morte di Stalin” (1962), “Il fumo nel tempio” (1996), “L’esperimento comunista” (2000 con scritti degli anni Settanta).
Amico del filosofo Augusto Del Noce con lui condividerà l’ostracismo da parte della cultura italiana. Su Corti, poi, la critica letteraria metterà in atto una “operazione silenzio”. Certo le sue idee a difesa del magistero della Chiesa, il suo impegno a favore della famiglia in contrasto con la campagna divorzista hanno giocato un ruolo importante. Un silenzio che si è rotto nel 2000 quando gli fu assegnato il Premio internazionale “Al merito della cultura cattolica” in precedenza consegnato ad Adriano Bausola, Augusto Del Noce, al cardinale Ratzinger.
Nel 2010, invece, su iniziativa popolare il suo nome fu inoltrato all’Accademia di Stoccolma per la candidatura a Nobel e nel marzo del 2013 il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, gli conferì la “Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte”, riconoscimento consegnato dall’allora ministro per i Beni e le Attività culturali Lorenzo Ornaghi, per dieci anni Rettore dell’Università Cattolica. Questa la motivazione: “Per l’alta e originale produzione letteraria con cui ha narrato l’Italia della Seconda guerra mondiale e la sua rinascita, fino al periodo buio della minaccia terroristica alle istituzioni democratiche, oltre che per il contributo offerto al dibattito critico delle idee del Novecento”.
Altre significative opere di Eugenio Corti sono: “Gli ultimi soldati del re” (1951), “La terra dell’indio” (1998), “L’isola del Paradiso” (2000), “Catone l’antico” (2005), “Il Medioevo e altri racconti” (2009).