«Fin dai tempi di Ippocrate la responsabilità del medico non può essere tolta né diminuita, ma oggi il paziente ha maggiore consapevolezza, anche della propria dignità: è su questo che si basa l'alleanza terapeutica fra medico e paziente. L'Università Cattolica del Sacro Cuore ha un dovere morale in questi ambiti: come luogo di formazione, ricerca e cura deve continuare a produrre nuovi e indispensabili contributi per la vita del nostro Paese, nell'orizzonte della cura globale della persona umana e della solidarietà».
Con queste espressioni monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha concluso la tavola rotonda che si è svolta lo scorso 24 settembre nell’aula Brasca del Policlinico universitario Agostino Gemelli sul tema “La coscienza del medico e il rispetto del paziente nel fine vita”, promossa da Dona la vita con il Cuore Onlus in collaborazione con il Gemelli, l’Università Cattolica, l’Associazione di Iniziativa Parlamentare per la Salute e la Prevenzione, l’Associazione Medici Cattolici Italiani e il Centro di Ateneo per la Vita della Cattolica. Si è trattato di un dialogo a più voci sui temi del cosiddetto “fine vita” e del ruolo di medici, pazienti e familiari in questa delicata fase dell’esistenza umana.
«Il progresso scientifico - ha esordito Massimo Massetti, docente di cardiochirurgia e presidente di Dona la vita con il cuore Onlus - ha permesso alla medicina di prolungare la vita ai pazienti in condizioni critiche e in questo contesto il medico si trova spesso da solo a gestire le scelte terapeutiche: fino a dove spingere le cure, quando abbandonare, quanto influisce in queste decisioni la medicina difensiva».
A introdurre i lavori anche il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi: «Il rispetto del diritto alla vita deve essere tutelato su due fronti: non sopprimendola e non facendole mancare il necessario per il sostentamento. In questo quadro etico, occorre riflettere per discernere i limiti dell’azione medica nei confronti del paziente nella fase terminale della vita».
«I problemi del fine vita sono i nostri problemi reali e quotidiani - ha continuato il professor Massimo Antonelli, direttore di Rianimazione e Terapia Intensiva del Policlinico Gemelli e Direttore del Centro di Ateneo per la Vita dell’Università Cattolica - in una realtà quotidiana, dura e difficile. La base di questo tema è sempre l'alleanza e il rispetto della dignità reciproca di medico e paziente».
«La morte è sicuramente per chi lavora nel mondo dei trapianti una presenza costante – ha dichiarato poi il dottor Alessandro Nanni Costa, Direttore del Centro Nazionale Trapianti - La nuova vita di un paziente nel nostro lavoro coesiste con la morte del donatore, non a caso i trapiantati festeggiano il compleanno anche nel giorno del loro trapianto. La visione di questo problema, anche come esperienza di fede, non è semplice: scopo primario è evitare l'accanimento terapeutico, ma in modo umano e non burocratico».
«Accoglienza e delicatezza sono pilastri essenziali nella gestione e organizzazione dei servizi, soprattutto al Policlinico Gemelli - ha dichiarato Enrico Zampedri, direttore generale del Policlinico - E poi, sicuramente, la fraternità: questo incontro è stato organizzato da un'Associazione, cioè un gruppo di persone diverse che, facendo squadra, fanno la nostra organizzazione, in particolare affrontando un tema così delicato come quello del “fine vita” per il quale nessuna norma, nessun codice di comportamento possono sostituire la coscienza del medico formata al rispetto della persona umana».
Il dibattito ha toccato i temi principali del problema: coscienza, accanimento, abbandono, alleanza terapeutica, collaborazione, solidarietà: «Dove c’è amore per il genere umano, c’è anche amore per l’arte medica – così il professor Rocco Bellantone, preside della facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore -. Meravigliose le parole di papa Francesco: curate bene le malattie, ma non trascurate l'uomo malato. Per questo la facoltà di medicina non è una facoltà scientifica, ma prima è una facoltà umanistica».
«Fare il bene, per il medico, significa anche chiedere al paziente cosa lui ritiene essere il suo bene - ha spiegato il professor Antonio G. Spagnolo, direttore dell’Istituto di bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore - contribuendo a togliere gli ostacoli alla sua autonomia, offuscata dalla condizione di malattia».
Quindi, il professor Rodolfo Proietti, direttore del Dipartimento di emergenza e accettazione del Policlinico Gemelli e membro del Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) ha illustrato natura e modalità dei lavori del Comitato sottolineando che “spesso quando si tratta di temi di fine vita si parla generalmente in termini negativi, si parla solo di divieti. Ma non è così, e specialmente nella nostra istituzione, la testimonianza non dev'essere solo in momenti di convegno, di studio, di incontro, ma nei comportamenti quotidiani».
Un ruolo molto importante hanno anche in questo campo la politica e il legislatore: «Non c'è nessuna legge che possa risolvere questi problemi – ha dichiarato il professor Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità - I medici italiani sono gli unici che vivono ancora in un contesto di indipendenza personale e mancanza di “accountability”, non hanno cioè una regola comune per rendere conto. Il sistema del "fine vita" invece deve essere organizzato, deve superare il divario fra Stato e Regioni, deve darsi una regola, basata sull’evidenza scientifica, cosicché il personale medico possa gestirsi, non con le sanzioni, ma lavorando insieme”.
Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale, ha sottolineato che «né il conflitto giuridico né quello ideologico dovrebbero avere spazio in questi dibattiti. Attenzione dunque alle generalizzazione delle leggi: ogni situazione è profondamente diversa dalle altre, ci vuole equilibrio fra decisione astratta del legislatore, decisione del giudice nel caso concreto, decisione del medico curante».
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Ha presenziato all’incontro anche il cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Academia Pro Vita: «La vita, che non ci siamo data noi, è indisponibile: proporre la sua disponibilità equivale a sopprimere il presupposto della vita stessa. La dignità è infatti ontologica, connaturata al soggetto che la possiede: è un dono di cui è responsabile chi la riceve e che deve conservare e tutelare sino alla sua fine naturale. Altro è moderare le cure o rinunciare a terapie sproporzionate o che alla coscienza del soggetto risultino non affrontabili. Si parla anche in questi tempi del criterio di "identità personale", ma essa non equivale ai singoli modi di pensare, bensì è legata alla persona e al suo esserci al mondo, in qualunque condizione ella sia».
Al termine della tavola rotonda è stata consegnata una borsa di studio (nella foto) donata dalla famiglia Leofreddi in ricordo di Andrea Leofreddi, scomparso prematuramente per una patologia cardiovascolare improvvisa. Questa donazione permetterà di sostenere, tramite Dona la Vita con il Cuore Onlus, un progetto dedicato alla ricerca, ma anche all'assistenza ai pazienti più fragili vittime di queste gravi malattie, dando modo di tenere viva la memoria di Andrea, prematuramente scomparso e sempre distintosi per sostenere in maniera concreta le persone più svantaggiate.