Fra bambini e ragazzi di oggi, i cosiddetti “nativi digitali”, cresce una vera e propria forma di dipendenza dal web e, grazie alla disponibilità di sempre nuove tecnologie “convergenti”, fra pc, smartphone e tv, aumentano i rischi di un abuso molto più esteso di quanto normalmente non si ritenga. Anche fra gli adulti. Proprio allo scopo di attrezzarsi adeguatamente nell’analisi, nella comprensione e soprattutto nella correzione di questi inediti comportamenti patologici, lo scorso 29 novembre presso l’Auditorium “Biagio D’Alba”, a Roma, il ministero della Salute e l'associazione "La Promessa" hanno promosso il convegno Giovani e internet. Aspetti evolutivi e problemi di dipendenza, al quale l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha prestato il suo supporto scientifico con l’intervento di alcuni esperti.
È infatti proprio il Policlinico “A. Gemelli” che, dal novembre 2009, ha istituito il primo ambulatorio pubblico dedicato alla cura di quello che ormai è noto come Internet Addiction Disorder. Forte dell’esperienza biennale maturata con circa 300 pazienti, il coordinatore dell’ambulatorio, lo psichiatra Federico Tonioni, ha potuto fornire una prima serie di dati assai significativi: «Il 20% dei pazienti è rappresentato da adulti – 9 su 10 maschi – vittime di siti pornografici e gioco d’azzardo online, mentre il restante 80% è composto da ragazzi compresi nella fascia d’età fra i 12 e i 25 anni, fruitori di social network e giochi di ruolo».
Inevitabile, allora, differenziare il discorso circa diagnosi e terapie: «Per la prima categoria si tratta di una dipendenza patologica, mentre il fenomeno è più complesso e pericoloso per gli adolescenti, poiché sono meno consci del loro status: arrivano da noi dopo aver abbandonato la scuola per concentrarsi interamente sulla “passione” (o malattia?) di internet. Per questo, nel loro caso, parlo di psicopatologia web-mediata, che si colloca tra l’evoluzione di una nuova forma di personalità e comunicazione, e la possibilità di sviluppare nuove patologie; un domani, infatti, potrebbero diventare loro i nuovi ‘dipendenti adulti’, come avviene per l’alcolismo».
Ma è bene ribadire che «non è internet a produrre la dipendenza». O meglio, «non è internet la causa della dipendenza. Esso diventa casomai un nuovo ambiente facilmente disponibile per trovare soddisfazione immediata ai bisogni legati alle nuove insicurezze». Ne è convinto monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana, anch’egli intervenuto al convegno. Per tale ragione, ha osservato monsignor Pompili, «non è necessario rifiutare la tecnologia: si può darle una forma che onori ciò che ci sta a cuore. Le tecnologie sono straordinarie opportunità per coltivare le nostre relazioni, avvicinare i lontani, trovare nuove modalità relazionali che non si lasciano ingabbiare dai limiti di spazio e tempo. Ma l’altro posso incontrarlo in rete solo se l’ho già incontrato di persona».
Pietro Bria, direttore dell’Unità complessa di Consultazione psichiatrica del Gemelli, concorda: «La rete è uno strumento di ampliamento delle conoscenze, anche se può diventare una trappola. È un grande segno di socializzazione, ma può diventare una schiavitù». D’altra parte – come ha spiegato Eugenio Mercuri, ordinario di Neuropsichiatria infantile presso la facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica – è molto importante la prevenzione anche nell’ambito di patologie neuropsichiatriche legate a internet che si manifestino nell’età dello sviluppo. Ed è comunque opportuno non sopravvalutare gli effetti delle nuove tecnologie. Secondo Pier Cesare Rivoltella, direttore del Centro di ricerca sull’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia (Cremit) dell’Università Cattolica a Milano, «occorre molto equilibrio», e, per esempio a scuola, rendersi conto anche delle potenzialità positive: «Alcune materie potrebbero essere insegnate alla luce dei nuovi media».
Naturalmente, come ha fortemente sottolineato Miela Fagiolo D’Attilia, responsabile dell’Area tutela dei minori dai media dell’Associazione italiana genitori, occorre «responsabilizzare le famiglie attraverso “buone pratiche”. Bisogna avere una nuova cultura della rete che parta dalla famiglia e si allarghi a tutti: istituzioni, scuola, Chiesa».