Nei paesi industrializzati negli ultimi 40 anni, il miglioramento delle tecniche diagnostiche, chirurgiche e farmacologiche ha consentito l’aumento del tasso di sopravvivenza dei bambini affetti da leucemia linfatica acuta, con guarigioni che superano l’80% mentre per i tumori cerebrali infantili le percentuali di sopravvivenza a 5 anni si collocano al 60-65% (dati dell’Associazione Italiana Registri Tumori 2008). Tuttavia le alterazioni della funzionalità ipofisaria, tiroidea e della fertilità, sia nel sesso maschile che femminile, rappresentano oggi uno dei più frequenti effetti collaterali di tali terapie e determinano ripercussioni importanti sulla qualità e la prospettiva di vita dei piccoli pazienti.
L’occasione per fare il punto su queste tematiche è stato il convegno promosso dall’Unità Operativa di Oncologia Pediatrica del Policlinico Gemelli sul tema “Disordini endocrini in oncologia pediatrica” che si è svolto il 19 novembre all’ospedale universitario della Cattolica. «La leucemia linfatica acuta è la patologia tumorale più frequente in ambito pediatrico, circa 1/3 di tutti i tumori, mentre i tumori del sistema nervoso centrale si collocano al secondo posto per incidenza e rappresentano circa 1/4 di tutte le neoplasie infantili – ha spiegato Riccardo Riccardi, responsabile dell’Unità Operativa di Oncologia Pediatrica del Gemelli e coordinatore scientifico del convegno -. Oggi le cure chemioterapiche, grazie all’utilizzo di protocolli terapeutici più intensivi per quanto riguarda quelli radioterapici, ci hanno permesso di ottenere importanti risultati in termini di sopravvivenza nelle neoplasie insorte prima dei 15 anni. La ricerca ci vede impegnati nel valutare nuove modalità terapeutiche, più efficaci e con minore tossicità, allo scopo di ridurre l’insorgenza di effetti collaterali a breve e lungo-termine e sequele croniche a carico di vari organi e apparati».
«In particolare, nei tumori cerebrali l’età e la dose di radiazioni utilizzate sull’encefalo sono fattori di rischio per l’insorgenza di un ipopituitarismo, cioè di una ridotta funzionalità ipofisaria – ha aggiunto Aurora Rossodivita, ricercatore dell’Unità Operativa di Pediatria 2 del Policlinico Gemelli -. Le cellule ipofisarie più vulnerabili sono quelle che producono l’ormone della crescita (GH). Si stima che già dopo un anno dal trattamento, i livelli di GH dopo test di stimolo sono alterati nel 50% dei casi. A 5 anni dalla radioterapia tale percentuale aumenta fino al 90% circa. Pertanto, i bambini affetti da tale deficit, se non trattati con l’ormone GH, non raggiungono il loro potenziale di crescita, e la statura adulta sarà significativamente inferiore al bersaglio genetico atteso. Inoltre, nei tumori della fossa cranica posteriore la radioterapia viene effettuata anche sulla colonna vertebrale, con conseguente danno diretto sulle vertebre e sproporzione tra crescita del tronco e degli arti inferiori. La terapia con GH ha effetti benefici anche sulla composizione corporea, sulla mineralizzazione ossea, sul metabolismo dei grassi, sulla pressione arteriosa e sullo stato di benessere globale».
Comuni sono anche i deficit di altri ormoni ipofisari, necessari per la normale funzione di ghiandole come la tiroide, i surreni, le ovaie e i testicoli. In presenza di tali deficit, quasi sempre permanenti, è necessario garantire al bambino un livello adeguato di ormoni, somministrando una terapia sostitutiva per tutta la vita. «Numerosi studi su soggetti sopravvissuti a tumori in età pediatrica, hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza della terapia sostitutiva con GH nei pazienti senza fattori di rischio, non irradiati – ha commentato la endocrinologa pediatra Rossodivita -. Tuttavia, recenti dati sembrerebbero indicare un lieve incremento (2%) dell’insorgenza di un secondo tumore nei soggetti sottoposti a radioterapia. Sebbene i risultati nel complesso siano rassicuranti, è necessaria grande cautela nell’estrapolare questi dati alla questione della sicurezza a lungo termine del GH, specialmente se utilizzato a dosi diverse e più elevate rispetto a quelle finora utilizzate. Pertanto, è necessario pianificare studi prospettici randomizzati, per documentare la reale sicurezza del GH nel trattamento dei pazienti che hanno superato patologie neoplastiche».
La complessità delle possibili sequele a distanza, richiede un lungo periodo di osservazione anche a distanza di molti anni dalla fine della terapie antineoplastiche e un approccio multidisciplinare integrato. «Per tale motivo – ha concluso Rossodivita - da circa 20 anni presso il Day Hospital di Oncologia pediatrica e l’Ambulatorio di Endocrinologia pediatrica del Policlinico Gemelli viene effettuato uno screening su tutti i pazienti con pregressa neoplasia, allo scopo di identificare precocemente segni e sintomi di possibili disfunzioni ormonali, volto a tradurre in appropriate iniziative assistenziali quanto di più avanzato oggi viene svolto a livello diagnostico-terapeutico. La qualità di vita di queste persone, infatti, dipende anche da un adeguato e tempestivo trattamento di tali sequele».