Lontano dal proscenio televisivo e dagli scranni parlamentari, rivestiti i panni sobri – ma non paludati – del cultore d’arte e bellezza,Vittorio Sgarbi attrae con il suo eloquio fluviale e la messe di parole ed espressioni che accompagnano e commentano immagini di opere senza tempo: è quanto avvenuto lo scorso 22 dicembre 2011, nella hall del Policlinico “Agostino Gemelli”, al secondo appuntamento del nuovo ciclo di “Il cielo nelle stanze” promosso dall’ospedale dell’Università Cattolica e dalle librerie Arion. Complice anche la competente conduzione di Luciano Onder, l’incontro con Sgarbi si è trasformato in un percorso fra i secoli e la materia, fra pittura e scultura, fra sguardi e ombre, sulla scia del volume Piene di grazia recentemente pubblicato dal critico d’arte per i tipi di Bompiani.
«L’arte, in fondo, è l’opposto della scienza - ha osservato Sgarbi -, è libertà e liberazione dalla disciplina. Occorre certamente la tecnica, ma essa sola non è sufficiente». Per questo solo alcuni autentici maestri ci sanno toccare l’animo, pur appartenendo a epoche assai diverse dalla nostra. E vi riescono attingendo copiosamente al fascino della donna, poiché «l’80-90 per cento della storia dell’arte ruota intorno a soggetti femminili». Basti pensare al quadro più famoso, fotografato e citato: la Gioconda di Leonardo, «un’autentica donna del mistero, spavalda, con quell’aria invincibile da adescatrice che ha conquistato l’intero mondo». Allora ecco scorrere sullo schermo della hall del Policlinico – e, grazie al sistema televisivo a circuito chiuso, in diretta nei reparti di degenza – riproduzioni di Antonello da Messina, Piero della Francesca, Tiziano, Dante Gabriel Rossetti e molti altri, fino a Klimt e Picasso: figure di sante e madri, nobili e meretrici, regine e donne velate.
Ma, nel dispiegarsi della conversazione, vi è stato anche modo per dare spazio a uno Sgarbi intimo e privato, diverso dal più noto polemista, sebbene sempre ironicamente provocatorio. Il cui sogno sarebbe ritrovare i prodotti del genio artistico collocati nei loro luoghi originali: «I musei rischiano di essere dei cimiteri, perché le opere valgono in forza della loro collocazione. Troppe meraviglie accumulate, quasi accalcate, possono perfino perdere la loro aura». Circa il rapporto con la fede, il critico ha ammesso che si tratta di una questione complessa. «Non subisco attrazione per il mistero che inevitabilmente la connota e preferisco la scienza, che mi permette di conquistare il sapere attraverso il metodo e lo studio - ha affermato -. Ma credo che un Dio ci sia e comprenda anche la stessa scienza, oltre naturalmente all’arte, le cui migliori opere, con la loro bellezza, rappresentano altrettante prove proprio dell’esistenza divina». Per tale motivo è bene insegnare ai più giovani il valore dell’arte; ciò, secondo Sgarbi, può avvenire con uno stratagemma: «Per appassionare all’arte, occorre proibirla. Se si vieta, si alimenta il desiderio di imparare. Almeno, così è sempre stato per me».