Un webinar nel cuore dell’emergenza per discutere i temi-chiave della Fase 2 e del futuro del sistema salute del Paese. Se ne è parlato il 17 giugno sul palco digitale dell’Open Week Master & Postgraduate - l’evento in diretta nei profili social dell’Università Cattolica dedicato alla presentazione dell’offerta formativa postlaurea che in questa penultima giornata ha raggiunto 33.126 persone, ottenuto 1.883 interazioni e registrato 6.851 visualizzazioni - nell’incontro "Salute, welfare e crescita economica: verso un paradigma rinnovato?".
Che cosa ci ha insegnato l’esperienza della pandemia del Covid-19 ora che il Paese sta riaprendo le principali attività e ci prepariamo alla Fase 3 e come, in questo contesto, dobbiamo impiegare le nuove risorse?
«La pandemia da Covid-19 – afferma Americo Cicchetti, docente di Organizzazione aziendale alla facoltà di Economia e direttore dell’Alta Scuola in Economia e Management dei sistemi sanitari (Altems) - ci ha dimostrato ancora una volta quanto è stata importante l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale: senza una struttura così solida e capillare i danni sarebbero stati peggiori. Esso si è presentato a questa prova con alle spalle un decennio di crescita limitata delle risorse disponibili e con un certo livello di iniquità nella distribuzione delle risorse nei diversi contesti territoriali. I nostri piani pandemici non erano adatti a una risposta così immediata, come quelli delle singole Regioni, variamente pronti e disponibili quindi con risposte molto differenziate. Dal 31 marzo l’Altems ha iniziato a studiare queste risposte per dare una lettura tecnico-scientifica di modelli organizzativi di risposta delle diverse regioni e abbiamo evidenziato che la differenza l’hanno fatta gli investimenti pregressi nei sistemi di assistenza territoriale, in un sistema nazionale generalmente “ospedalocentrico”, e nella telemedicina. Abbiamo tutti compreso l’importanza dell’armonizzazione e del coordinamento a livello nazionale, per esempio nella gestione delle tecnologie e dei sistemi informativi. Tutto questo può orientare un nuovo equilibrio fra competenze nazionali e regionali alle porte di nuova sfida: recuperare tanta attività assistenziale che non è stata erogata in termini di ricoveri e interventi chirurgici».
Secondo Gilberto Turati, docente di Scienza delle Finanze alla facoltà di Economia, «il Covid-19 ci lascia diversi effetti: incertezza, povertà, diseguaglianza. Dobbiamo capire ancora completamente come si combatte e si cura il virus e siamo ancora incerti riguardo a cosa davvero succederà nella nostra società. L’incertezza indebolisce la ripresa economica, la caduta del Pil vedrà ridurre il reddito del Paese e questo influirà sugli investimenti anche per il Servizio Sanitario nazionale. Abbiamo bisogno di una crescita diversa, inclusiva, sostenibile, più rispettosa della “casa comune” e questa è un’occasione per provarci. Durante la crisi c’è chi ha perso tutto, chi ha potuto contare su un supporto al reddito e chi ha continuato a percepire uno stipendio. Riguardo agli insegnamenti di questa esperienza, ciò che funziona in tempi normali non funziona in tempi particolari: la malattia comporta ovviamente un aumento della domanda di servizi sanitari. Deospedalizzare non basta: un servizio sanitario moderno deve prendere in carico le cronicità: ecco l’importanza delle cure territoriali, anzitutto investendo in formazione di nuove figure professionali. Con le risorse che arriveranno probabilmente dall’Europa sotto varie forme sarà ineludibile ristrutturare la Sanità del territorio, capendo che abbiamo bisogno di nuove figure professionali nella multidisciplinarietà, senza tralasciare il grande tema della digitalizzazione di tutti i servizi pubblici del Paese».
«Ci siamo trovati di fronte a un nemico sconosciuto che inizialmente non eravamo in grado d’interpretare nelle sue manifestazioni» racconta Antonio Gasbarrini, docente di Medicina Interna alla facoltà di Medicina e chirurgia. «Quando il virus si diffuse in Cina ci sembrava lontanissimo, poi è arrivato in Italia come un uragano. Dal Centro-Sud del Paese abbiamo visto ciò che stava succedendo negli ospedali del Nord e, poiché anche grazie al web nel mondo scientifico non abbiamo confini, eravamo in costante collegamento con i colleghi del Nord, particolarmente con quelli che lavorano nei Pronto Soccorso, i primi presìdi a essere presi d’assalto da questa nuova malattia: il loro sovraffollamento, in mancanza di strutture territoriali, ci ha indotto al Policlinico Gemelli a dividere immediatamente i flussi d’ingresso: in una settimana abbiamo diviso l’ospedale in due, con percorsi doppi, medici e infermieri diversi, reparti separati, affrontando il grande problema dei presìdi di protezione. Abbiamo gestito circa 1.400 pazienti, con diagnosi confermata di Covid in circa la metà di essi. È stato una grande lavoro di squadra, un’esperienza incredibile. Ora i Sistemi sanitari debbono tutti riorganizzarsi per affrontare nuove sfide e tutti dobbiamo essere bravi medici: questa sfida è stata affrontata anche dai nostri giovani medici che hanno vissuto in prima linea l’emergenza».
Guardando al futuro una domanda verso la ripresa: quali le proposte per la Sanità di domani?
«Dobbiamo puntare molto sullo sviluppo delle competenze all’interno del nostro sistema sanitario» risponde il professor Cicchetti. «Sappiamo di avere un gap formativo generale, dal punto di vista della formazione accademica, nel nostro Paese e questo si rivela cruciale anche nella Sanità. È importante capire che ora serviranno competenze di tipo professionale, clinico, infermieristico, ma anche quelle di tipo gestionale e organizzativo e sicuramente nel campo della comunicazione. Tutte queste competenze permetteranno di sviluppare, inoltre, un nuovo impegno dei cittadini, anche attraverso le associazioni dei pazienti, ricordando che il Servizio Sanitario nazionale è un grande presidio che va difeso anche con la responsabilità dei comportamenti individuali».
«Si deve certamente investire su una seria programmazione delle professionalità, sia dentro che fuori gli ospedali» aggiunge il professor Turati. «I dati ci indicano che dovremmo investire sulle figure mediche e infermieristiche, in un’organizzazione ancora da creare sui territori, accanto a nuove figure professionali che possano assistere i pazienti attraverso sistemi di telecomunicazione. Certamente occorre una programmazione ex ante per arrivare preparati a nuove difficoltà e per fare tutto questo c’è bisogno di competenze ben formate e nuove: è il “capitale umano” ora al centro come fattore cruciale di ogni organizzazione».
Secondo il professor Gasbarrini, «in primo luogo tutte le persone fragili debbono essere vaccinate contro l’influenza nei prossimi mesi per diminuire l’assistenza a forme gravi che presenterebbero gli stessi sintomi del Covid. Secondariamente occorre decongestionare i nostri ospedali, soprattutto nei Pronto Soccorso, riducendo le degenze negli ospedali per acuti, potenziando una nuova rete territoriale e spostandoci verso una medicina diversa che preveda una riorganizzazione dell’attività ambulatoriale, anche attraverso sistemi di telemedicina, grazie alle nuove e implementate forme di comunicazione a distanza che in questi mesi hanno moltiplicato le occasioni di supporto e confronto».