di Teresa Vozza *
Partire, viaggiare è sempre un’esperienza bellissima: gente nuova, posti nuovi, cucina nuova. Ma farlo per amore è tutta un’altra cosa. L’Etiopia mi ha accolta con tutta la sua gioia, nonostante le piogge equatoriali, nonostante il fango e il freddo. Le sorelle della Divina Provvidenza ci hanno festeggiate come ospiti speciali: cerimonia del caffè, chitarre, tamburi e tanti canti. Quanta energia nel vivere la loro spiritualità.
Da Addis Abeba fino a Mandida e Debre Birhan, a nord, e poi giù verso il sud, a Fonka, Dauroconta e Hosaena: gli spostamenti erano tipicamente africani: zaino, gip e tanta pazienza!
Se nella capitale la volontà di cambiamento e di sviluppo dell’Etiopia è percepibile dai mille cantieri non proprio a norma della 626, dalle strade in costruzione e soprattutto dalle testimonianze delle persone, nei villaggi, collegati nei migliori dei casi da un’unica via non sempre asfaltata, la situazione è più immobile, anche perché stato etiope con difficoltà ammette la propria condizione di povertà, sperando che l’omissione possa in qualche modo favorire la sua crescita.
Le abitazioni di forma circolare con tetto in paglia corredano allegramente le campagne, ma al loro interno sono magre, come i bovini che si vedono pascolare. La maggior parte della popolazione vive ancora di coltivazione e allevamento, nei centri più popolati anche di commercio; le famiglie sono numerose e i bimbi, come spesso accade nella sventura, vengono lasciati crescere da soli, con i fratelli e le sorelle, sulla strada, fino a quando diventano grandi abbastanza per lavorare e collaborare con la famiglia. Le persone hanno visi parlanti e corpi testimoni silenziosi.
È proprio in quei luoghi di desolazione e bisogno che le Suore della Divina Provvidenza hanno deciso di aprire scuole, ambulatori, centri per le donne. I bambini vanno a scuola e viene insegnato loro l’importanza dell’igiene e anche la gioia di imparare e di stare assieme; gli ambulatori sono luoghi essenziali di riparo e cure, molto apprezzati dalla gente del posto, peccato che siano mandati avanti quasi esclusivamente da infermiere tutto-fare, vista l’esiguità dei medici. A Mandida avevano appena aperto un reparto di ginecologia e le nascite erano già state tante e emozionanti.
«Le piante crescono con la coltivazione, gli uomini con la cultura»: questa frase l’ho incontrata i primi giorni, in un’università di Debre Birhan e mi ha accompagnato per tutto il soggiorno. È proprio così, l’istruzione, le usanze popolari, la tradizione sono parte essenziale del nostro essere individui, donne e uomini, e tutti dovrebbero avere e poter esercitare il diritto inviolabile di conoscerle, amarle e svilupparle. Quando andavamo nelle scuole e intrattenevamo i bambini era sorprendente la loro vivacità intellettiva, la velocità con cui imparavano l’inglese o qualsiasi altra cosa. Si creava una sintonia con arricchimento davvero reciproco: io cercavo di insegnare loro qualcosa, ma loro mi riempivano di emozioni e la stanchezza non si faceva sentire. A fine mattinata distribuivamo qualcosa da mangiare, il menù era fisso: patate, fagioli, farro. Ognuno ringraziava e accettava il dono con umiltà e gratitudine, comportamenti molto lontani dalla nostra arrogante società.
Con Suor Hirut, la nostra referente, la nostra interlocutrice, abbiamo firmato come testimoni all’approvazione del progetto per la costruzione di un nuovo pozzo in un luogo molto a sud, dove la siccità impera d’estate. È stato molto interessante vedere le varie attività che ci sono in una missione, tra cui per esempio la distribuzione delle donazioni delle adozioni a distanza, che realmente riescono a garantire alle famiglie un mezzo di sopravvivenza: attraverso una minuscola e impercettibile (per noi) somma i figli riescono ad andare a scuola e a trovare un pasto al ritorno a casa.
Dopo questa rigenerante esperienza, le domande sono tantissime e le risposte poche, ma di una cosa sono certa: non basta cercare le risposte, bisogna crearle. Quei luoghi non possono rimanere testimonianza inascoltata dell’errore storico di non considerarci fratelli della stessa terra. L’auspicio più profondo è che ogni giorno sempre di più come una vera e unica famiglia affronteremo assieme i problemi condividendo risorse e impegno per crescere tutti.
* 20 anni, di Reggio Calabria, terzo anno della laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza, sede di Piacenza - Collegio S. Isidoro