di Giulia Cestaro *
Scrivere la tesi significa sigillare tre anni di studio all’università, e io ho voluto dare un senso profondo a questa mia ultima esperienza: volevo che fosse qualcosa di intenso, capace di rispecchiare lo stesso valore dei miei anni passati in Cattolica. Sono tornata dall’Erasmus a Valencia a metà febbraio, ma a casa mi sentivo un po’ spaesata e confusa, e questa sensazione non è passata con il tempo, così ho deciso di ripartire per un’altra esperienza, tutta nuova e con caratteristiche totalmente diverse da quella appena vissuta.
Il mio sogno era visitare l’America Latina e nei miei viaggi ho sempre voluto essere qualcosa di più di una turista, perché mi piace fermarmi in un luogo per un po’ di tempo, abbastanza per potermi ambientare e sentirlo mio. Ho proposto al mio relatore Giacomo Scanzi, direttore del Giornale di Brescia, di cercare all’estero una realtà giornalistica che avrei potuto indagare. Attraverso l’Università, ho partecipato al programma International Thesis Scholarship, che offre borse di studio ai laureandi per ricercare materiale utile all’estero.
Non è stato facile mettersi in contatto con radio e giornali dall’altra parte del mondo, dovevo partire al massimo entro la metà di maggio per poter finire la tesi in tempo per la sessione di laurea estiva; è stato un lungo periodo di indecisione ma né io né il mio professore volevamo mollare nell’impresa, e il suo impegno è stato decisivo. Quando si crede davvero in un sogno e si fanno tanti sacrifici, vederlo realizzato è un’emozione incredibile, e così è stato quando, finalmente, ai primi di maggio è arrivata la risposta affermativa dal quotidiano nazionale argentino “La Nación”: mi avevano preso! In una settimana ho organizzato il mio viaggio, e il 12 maggio ero su un aereo con destinazione Buenos Aires e l’obiettivo di scrivere una tesi in un mese.
Le prime sensazioni quando ti trovi in una metropoli latina con 13 milioni di abitanti sono difficili da descrivere, perché sono un insieme di stupore e voglia di conoscere, ma anche di un po’ di timore. Inizialmente ero spaventata, non sapevo quali erano le zone sicure in cui passeggiare e muovermi e quali fossero quelle da evitare; poi ho iniziato a farmi travolgere dal fascino della città vecchia, il quartiere di San Telmo, e dai colori del quartiere La Boca, dove le case venivano dipinte dagli abitanti con la rimanenza della vernice per le barche, e dalla musica e dalla vivacità di Mataderos, zona di gauchos e cavalli che sembra un altro mondo rispetto con altri costumi.
Ho cercato di sfruttare al massimo il mio tempo, andando a visitare la città durante la mattinata e lavorando alla mia tesi nella redazione del giornale durante pomeriggio e sera. Non si può descrivere Buenos Aires, è una città dalle mille contraddizioni e con troppi volti diversi; ha negozi di lusso, viali alberati molto curati e grattacieli nuovissimi e scintillanti, ma che a pochi passi ha conservato il volto antico che emana profumo di tradizioni. Una delle cose che mi ha impressionato di più è stato sentire il tango sempre nell’aria; infatti questo ballo è nato proprio qui all’inizio del ‘900 ed è il simbolo della cultura argentina nel mondo.
In ogni quartiere in cui passeggiavo si vedevano coppie di ballerini di strada che danzavano il tango, un ballo triste, malinconico e passionale, che può essere ballato da persone di tutte le età. Vedere ballare le coppie più anziane mi ha trasmesso un messaggio forte, pieno di storia, che mi ha fatto capire come ballare per loro non significhi solo esibirsi per i turisti curiosi, ma è espressione profonda della propria cultura.
Ho scelto la testata “La Nación” come oggetto d’indagine non solo perché è una delle realtà giornalistiche più significative del continente, ma anche perché è profondamente impegnata in un progetto di innovazione a partire dalla carta stampata. Spesso sembra che il futuro dell’informazione sia online e per le edizioni classiche non ci sia più spazio; tuttavia c’è chi crede anche il contrario e sta rispondendo alle sfide della comunicazione cercando di adattare i quotidiani alle esigenze dei nuovi lettori. Come ha fatto “La Nación”, la domanda da cui è partita la mia ricerca, che ha il suo cuore nello studio del rapporto tra stampa e nuove tecnologie, è stata come si può attualizzare un prodotto dalla storia antica, che oggi sembra non rispondere più all’esigenza d’informazione immediata? Il giornalismo a stampa rischia davvero di scomparire o si può ancora scommettere sul suo domani e investire in esso?
Per rispondere alle mie domande ho lavorato a stretto contatto con il Direttore dell’Innovazione Carlos Guyot, che è stato un vero punto di riferimento per me e mi ha permesso di incontrare e intervistare i giornalisti delle varie sezioni, i responsabili marketing, i responsabili risorse umane e gli archivisti del quotidiano, oltre a professori esperti di comunicazione dell’Università Cattolica Argentina (Uca). Per un mese ho osservato in loco non solo le modalità di lavoro di questi professionisti dell’informazione, ma mi sono immersa in questa nuova realtà, ho vissuto l’esperienza del giornale in prima persona.
Inoltre ho avuto la possibilità di vedere da vicino le abitudini della gente, notare in quali luoghi il giornale era più letto, chi lo portava con sé sulla strada, e altri dati che si possono certamente dedurre anche dagli studi statistici, ma che osservati sul campo acquistano maggiore concretezza e spessore. Parlare con i giornalisti mi ha permesso di conoscere le loro opinioni personali, di ricostruire, attraverso le storie di ognuno, un quadro del quotidiano di ieri e di oggi; e ho capito che non ci sono solo i giovani vogliosi di leggere le notizie sui tablets, ma ci sono anche i nostalgici, i giornalisti che hanno trascorso metà della loro vita nella redazione; questi ultimi hanno saputo darmi una testimonianza filtrata da un punto di vista emozionale e di memoria, che ha conferito un valore aggiunto, esperienziale, al mio prodotto finale.
Il tempo qui è volato, tra visite turistiche e tanto lavoro, ma ho avuto anche il tempo per stare sola, per ascoltare i miei pensieri e per riflettere su quali saranno i miei prossimi passi nel percorso di studi. Al termine della mia permanenza posso affermare che sono riuscita nel mio intento di dare alla mia tesi un significato particolare, legato a qualcosa di più che non a un semplice lavoro di ricerca, e quando la rileggo sento in sottofondo un tango e mi vengono in mente i volti e le parole delle persone che ne fanno indissolubilmente parte.
* 22 anni, di Brescia, terzo anno Stars, laureanda a luglio 2011, in Argentina con International Thesis Scholarship