di Francesca Tammelleo *
Sorrisi, colori, ospitalità, famiglia, felicità. Sono i messaggi che porto a casa dall’India grazie al Charity Work Program dell’Università Cattolica. Con le mie compagne di viaggio ho seguito i progetti del centro “Bala Vikasa-Social Service Society” che abbracciano davvero tanti campi tra cui il più frequente quello per la purificazione dell’acqua e la costruzione dei pozzi. Dopo una settimana di splendida interazione con persone del Sud Est Asiatico (Afghanistan, Sri Lanka, Nepal, Bangladesh, India) che mi ha fatto toccare la loro forte cultura e mi ha permesso di imparare a ridere e scherzare con tutti durante un importante corso offertoci dal Bala Vikasa “Community Driven Development”, le mie compagne d’avventura e io siamo entrate in campo.
Si, siamo entrate in campo. Non siamo solo state nei villaggi, le parti più povere, ma ne abbiamo vissuto la realtà, con gli anziani, con le donne, con i bambini, con tutti gli abitanti del luogo che ci guardavano con gioia e felicità. Ricordo tutto, penso e spero che questi tasselli che ho riposto nel mio cuore e nella mia mente non svaniranno mai.
Come potrò scordarmi di Pittu che ci guardava arrivare con la macchina e immediatamente si alzava felice, o della ragazza che sorrideva della fragilità della mia pelle arrossita al primo pizzico, o dei bambini che tutti insieme ci dicevano: «Sister, play with us!». Come potrò scordarmi delle lunghe chiacchierate con Sayed sulla situazione delle donne in Afghanistan o con Suvinda sulle religioni ed il buddismo...culture lontane, una realtà lontana che sembrava avermi sfiorato la pelle e toccato nell’animo. Allo stesso modo mi sono abituata a vedermi circondata da fogne, topi e mucche che tranquillamente camminavano per strada e a mangiare con le mani così come era loro abitudine. Non è così facile come sembra. Strano è stato anche l’essermi abituata alle temperature dei monsoni, tanto che appena scesa dall’aereo in Italia ho sentito freddo a ben 35 gradi.
Questa gente ha ben poco di materiale, non ha cucina, bagno, ma ancor peggio non ha acqua! Nei villaggi le famiglie mangiano carne solo nelle festività (due volte all’anno) perché è troppo costosa, fanno il bagno nelle risaie perché non hanno la doccia, vivono tutti insieme perché le loro case non hanno porte, puliscono accessori e vestiario con la cenere per mancanza di acqua, camminano scalzi perché il fango è loro amico. Se c’è un ospite lo fanno sentire a casa propria offrendogli tutto ciò che hanno, si vogliono bene perché sono tutti fratelli.
Per poter vivere e poter sopperire alle più impellenti necessità le donne percorrono più volte al giorno chilometri a piedi trasportando pesanti brocche di acqua non potabile sulla loro testa, e alcune di loro ne risentono fino alla perdita dei capelli. Non si lamentano ma sono felici. Abbiamo assistito e partecipato a tutti i riti per la costruzione di pozzi in diversi villaggi e in ognuno di questi, al primo getto uscito, si era avverato un miracolo che si leggeva negli occhi di ognuno, dai tamburi che iniziavano a rullare e dalle danze tribali che immediatamente cominciavano fino alle loro mani che ci applaudivano senza aver fatto niente.
Abbiamo potuto constatare personalmente dove arrivano i fondi che l’Italia ha mandato per tali opere e, per ogni pozzo, viene realizzata una targa in grafite con l’incisione del nome del donatore. Dall’acqua non potabile derivano tantissimi problemi per la presenza di parassiti e minerali che causano fratture ossee e perdita di denti. Quindi, perché non fare qualcosa anche noi? Ne riceveremo molto in cambio. Io ho avuto tantissimo dall’India, soprattutto dall’energia, dalla forza d’animo, dai sorrisi e dallo stupore dei bimbi e di tutti, che, con la loro semplicità e dignità ci hanno accolte come sorelle, ed è per questo che dico… grazie. Sono tornata alla mia quotidianità, nel nostro moderno Occidente, ma con la consapevolezza che dall’altra parte del mondo c’è questa sacra terra d’Oriente che mi ha donato la forza e la voglia di mettermi in gioco sempre. Grazie India.
* 21 anni, di Gaeta (Lt), terzo anno del corso di laurea in Tecniche di laboratorio biomedico, facoltà di Medicina e chirurgia, sede di Roma, collegio San Luca-Barelli