Acclamata nel 2013 dalla Harvard Business Review come una delle professioni più appetibili del 21esimo secolo, quella del Data Scientist sembra essersi guadagnata ormai da qualche anno un posto tra i lavori più ambiti di sempre. L’etichetta viene coniata nel 2008 da DJ Patil e Jeff Hammerbacher, protagonisti del mondo dei Big Data rispettivamente in Linkedin e Facebook, ispirati dalla storia di Jonathan Goldman, un dottorato di ricerca in fisica di Stanford, e neo assunto di Linkedin, ai tempi poco più di una start-up.
Da un’intuizione di Goldman nacque, infatti, l’innovazione che permise a Linkedin di essere riconosciuto in pochi anni come il social network professionale più utilizzato al mondo: cercare di connettere tra loro, attraverso i suggerimenti a lato della schermata (“Persone che potresti conoscere”), le persone con esperienze lavorative simili per moltiplicare le visite delle pagine.
«Ormai entrata nel vocabolario di molte aziende e agenzie, la figura del Data Scientist risponde all’esigenza diffusissima di gestire e integrare informazioni che arrivano in varietà e volumi mai incontrati prima – i cosiddetti Big Data – per rispondere alle richieste del marketing o per comprendere la vasta gamma di fenomeni che caratterizzano il mercato e i consumatori oggi», spiega Guendalina Graffigna, docente di Psicologia in Università Cattolica e coordinatrice didattica del corso di perfezionamento in Social and Consumer Information Scientist for Marketing Intelligence (IS4MI).
Ma, come per i Big Data, anche quella del Data Scientist rischia di rimanere un’etichetta di moda dal contenuto se non è supportata da una formazione e certificazione universitaria adeguata, fa presente la psicologa dell’Ateneo. «Diventare un Data Scientist oggi non richiede solo competenze tecniche di analisi statistica, ma anche competenze analitiche ed interpretative, e soprattutto la capacità di porre buone domande ai dati e di saperne trarre risposte actionable per il marketing e l’intelligence aziendale», prosegue la professoressa Graffigna.
«Oggi più che mai formare buoni data scientist vuol dire formare professionisti capaci di integrare virtuosamente competenze multidisciplinari che spaziano dall’analisi delle dinamiche dei consumi e dei consumatori, alla ricerca sui e tramite social media, fino alle competenze statistiche e di marketing che guidano il decision making aziendale».
Una sfida cui l’Ateneo risponde con diverse proposte formative, dai corsi di laurea della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali al master in Data Science for Management. IS4MI, diretto dal professor Albino Claudio Bosio, ha scelto la strada di intrecciare le competenze “hard” di statistica avanzata, analisi dei big data e metodi e tecniche avanzate della ricerca di mercato con le competenze “soft” legate ai saperi e ai modelli applicativi della psicologia dei consumi.