Le vaccinazioni non hanno solo un impatto sulla nostra salute in termini di prevenzione di malattie infettive, ma posson essere oggetto anche di una valutazione economica ai fini della sostenibilità. Ogni euro investito in vaccinazione ne restituisce 2,50 in termini di gettito fiscale e 20 in termini di risparmi previdenziali. È quanto calcola ALTEMS - Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari - che martedì 7 maggio ha promosso a Roma il convegno “Vaccinarsì consapevolmente…50+”.
La sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale ha bisogno di adottare in modo sistematico e puntuale l’approccio dell’HTA (Health Technology Assessment) e della valutazione economica per assicurarsi che ogni tecnologia utilizzata dal sistema sanitario sia in grado di generare “valore” per il singolo e per la popolazione. “La prevenzione - spiega Americo Cicchetti, Direttore dell’ALTEMS - rappresenta, in genere, una opzione costo-efficace per quelle patologie che sono appunto prevenibili. E’ su queste basi che abbiamo iniziato un programma di ricerca sul tema della vaccinazione in età adulta, perché riteniamo che ci sia un grande valore clinico ed economico dietro la promozione della vaccinazione negli adulti”.
Il Convegno, che ha riunito medici, economisti, rappresentanti del Ministero della Salute, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, ha affrontato il tema delle cosiddette “vaccinazioni dell’adulto” - antinfluenzale, antipneumococcica e contro l’Herpes Zoster - con uno sguardo rivolto all’impatto fiscale di questi strumenti di prevenzione.
“Abbiamo implementato un modello di simulazione al quale stiamo lavorando da già due anni - afferma Matteo Ruggeri, economista sanitario e docente all’Università Cattolica - per stimare quale fosse l’impatto fiscale di politiche vaccinali riguardanti l’influenza, lo pneumococco e l’Herpes Zoster e la sua complicanza. Abbiamo utilizzato dati di letteratura e stime INPS ed ISTAT per tenere in considerazione variabili demografiche, regionali e cliniche, che ci consentissero di mettere in relazione le giornate di lavoro perse nelle varie regioni italiane con il numero di infetti”. Il nuovo dato che emerge è che, in tutti e tre i casi, sia l’impatto fiscale che le perdite di produttività al Sud sono inferiori rispetto alle regioni del Nord, ma più elevate rispetto alle regioni del Centro. Questo risultato è dato dall’effetto combinato della composizione della popolazione per età e dei redditi procapite. Altra variabile di notevole importanza è il tasso di assenteismo che è più alto al Sud, e la composizione degli occupati per settore produttivo ma soprattutto il numero di impiegati nel settore pubblico, che, come alcune recenti evidenze mostrano, registrano quasi il 25% in più di assenze dal lavoro rispetto al settore privato.