di Bruno Cadelli e Marianna Mancini
«Nei prossimi mesi capiremo se questo governo rappresenterà un’alternativa allo spostamento verso destra verificatosi nelle democrazie europee. Il fatto che nasca molto debole e con grandi incognite, rende più probabile che, in Spagna, tenderà ad aumentare la polarizzazione invece di attenuarla. L’estrema destra presente oggi nel parlamento spagnolo potrebbe uscirne rafforzata». Il professor Damiano Palano, docente di Scienza politica alla facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica, commenta così la nascita di un nuovo esecutivo di sinistra in Spagna. Oltre a essere un caso abbastanza isolato nello scacchiere europeo, quello formato dai socialisti di Sanchez e da Podemos è il primo governo di coalizione nella storia spagnola.
«Parliamo di un esecutivo di minoranza» afferma il professor Palano. «Il sistema spagnolo consente di formare dei governi che non abbiano tecnicamente la maggioranza assoluta in parlamento. Questo governo ha solo due voti di vantaggio rispetto alla minoranza e ha beneficiato dell’astensione di due gruppi indipendentisti: in particolar modo la sinistra repubblicana catalana».
Quali sono i punti in comune tra Sanchez e Podemos e quali invece potrebbero essere le criticità di questa coalizione? «Il principale punto comune riguarda la matrice socialdemocratica e progressista. Mi riferisco alle questioni sociali, in particolar modo alla revisione della legge sul mercato del lavoro adottata dal governo Rajoi. La questione davvero più complicata è quella relativa ai rapporti con la Catalogna: non è detto che il governo possa soddisfare le richieste di Erc».
La questione catalana sarà quindi determinante per l’esecutivo? «Avrà peso proprio perché una delle richieste di Erc era quella di riprendere le trattative sull’indipendenza catalana anche dal punto di vista fiscale e linguistico. La questione più spinosa riguarda poi i deputati della Generalitat Catalana detenuti in carcere per i quali Erc chiede l’amnistia. Se nei prossimi mesi non verrà affrontata il governo avrà una vita molto dura. Al tempo stesso, se il governo facesse dei passi in avanti verso la Catalunya, riceverebbe critiche non solo dai partiti di estrema destra, ma anche dai popolari e da Ciudadanos».
Spostiamoci ora sulla questione migratoria. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno spagnolo, i migranti irregolari giunti nella penisola iberica nel 2019 sono stati 32.513, in calo rispetto ai 64.298 del 2018, ma maggiori rispetto agli 11.471 dell’Italia. Qual è la posizione del nuovo governo sui flussi migratori? «Questa è una di quelle questioni in cui socialisti e Podemos hanno storicamente posizioni differenti. Podemos è più favorevole in via generale mentre il partito socialista ha una posizione molto più dura. Le contrapposizioni con il governo italiano ci sono state in diverse occasioni. Il governo sull’immigrazione sarà molto seguito dall’opinione pubblica e potrebbero emergere delle fragilità nell’esecutivo. La situazione in Nord Africa non sembra tranquillizzarsi. Non è improbabile che si debba fronteggiare una nuova crisi migratoria».
Che ruolo giocano, a proposito del Nord Africa, i territori di Ceuta e Melilla? Nel 2017 la Spagna era stata condannata dalla Cedu per le espulsioni immediate a Melilla violando la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. «Sicuramente questo è un punto sul quale la Spagna è da tempo criticata dalle Organizzazioni internazionali che si occupano di migranti. I socialisti, anche sotto il governo Zapatero, hanno sempre visto il presidio di quel territorio come una questione di vitale interesse nazionale. Questo sarà un problema nei rapporti tra il partito socialista e Podemos».
Solo nei rapporti tra Podemos e il partito socialista o anche tra governo spagnolo e gli altri leader europei? «Questa è una questione interessante. La tutela dei confini negli ultimi anni è stata al centro di controversie. Per quanto riguarda l’intervento dell’Ue, al di là di condanne che ci possono essere, mi sembra difficile che vi siano delle limitazioni di quella che rimane un’area di sovranità interna di uno Stato».