di Roberto Cauda *
Nell’autunno scorso, a distanza di mesi dall’inizio e dal riconoscimento dell’epidemia, i media (anch’essi in ritardo) si sono mostrati molto interessati a questa malattia e, avvalendosi anche della consulenza di esperti, hanno cercato di presentarla nel modo più effi cace al grande pubblico. Stante la natura della malattia, altamente contagiosa e gravata da elevata letalità, la responsabilità di fornire al pubblico una corretta informazione è altissima.
Spesso non è facile dare, in tempi e spazi limitati, un’informazione esaustiva ed equilibrata che non susciti allarmismi o che, di converso, non induca a facili ottimismi. Da più parti è stato sottolineato come l’informazione su Ebola dovrebbe considerare che, essendo la medicina una scienza empirica, esiste la “probabilità”, non la “certezza”, che un determinato evento avvenga (in questo caso la diffusione del virus) e come questa informazione debba pertanto essere trasmessa al pubblico, evitando da una parte reazioni ingiustificate di allarmismo, dall’altra sottovalutazione del problema.
Purtroppo le domande sulla diffusione dell’Ebola fanno parte di quelle che non possono ricevere risposte certe, e ciò viene avvertito dall’opinione pubblica come un elemento di incertezza, che può sfociare nella sfiducia. D’altro canto un’eccessiva rassicurazione da parte delle autorità competenti può ancor di più essere percepita dall’opinione pubblica come il tentativo di tener nascosta la verità. Secondo alcuni esperti statunitensi, in situazioni come Ebola gli addetti ai lavori dovrebbero ammettere le loro preoccupazioni, cosicché la popolazione maturi la convinzione che essi si preoccupano anche per lei, raggiungendo pertanto un effetto finale rassicurante. Non si può certo ignorare che il pubblico, ben prima dell’attuale epidemia, ha conosciuto, pur nella finzione cinematografica (vedi ad esempio il film Virus letale) o letteraria (vedi i romanzi Contagio di Robin Cook, Nel bianco di Ken Follett, Potere esecutivo e Rainbow Six di Tom Clancy), come Ebola possa rappresentare una delle più gravi minacce per la salute dell’uomo.
In occasione di questa epidemia, più che nelle precedenti, grazie alle nuove tecniche di comunicazione, si è sviluppato un genere letterario-giornalistico di medicina narrativa, Ebola Diary, che utilizza il web (www.bbc.co.uk) o la radio, attraverso cui le persone che quotidianamente vivono nell’Africa occidentale la drammatica realtà di questa devastante epidemia raccontano la loro esperienza, così che questa esperienza condivisa possa essere fonte di conforto non solo per chi la riporta, ma anche per chi la legge o la ascolta.
Come spesso accade, anche nel corso di questa epidemia, c’è stato un crescendo di informazioni (e di preoccupazioni) che ha raggiunto il suo acme con la segnalazione di casi di Ebola al di fuori dell’Africa, in Usa e in Spagna, e con l’arrivo in Italia del medico in cui l’evoluzione della malattia è stata, fortunatamente, favorevole. Dopo un iniziale interesse (forse eccessivo) legato in parte alla preoccupazione di una diffusione in Europa e Usa, i mezzi di informazione, in linea con una certa “indifferenza” dei Paesi sviluppati per quanto avviene nel cosiddetto Sud del mondo, hanno finito con “l’ignorare” la Mve, anche se essa è tutt’altro che debellata e continua a imperversare nell’Africa occidentale, con numeri impressionanti per quanto riguarda il contagio (a oggi quasi 24.000 persone) e i decessi (circa 10.000 dei contagiati).
La persistenza di Ebola in una vasta area dell’Africa, con il coinvolgimento di un numero elevato di soggetti, rappresenta non solo un pericolo per l’immediato, ma anche un potenziale rischio per il futuro, dal momento che questo virus potrebbe andare incontro a mutazioni che, riducendo la sua virulenza, lo renderebbero in grado di produrre nell’uomo una malattia meno acuta, a evoluzione più lunga, quindi con un evidente maggiore rischio di contagio, non solo in Africa ma anche, grazie alla facilità degli spostamenti, in altre parti del mondo.
L’attuale epidemia di Ebola ha drammaticamente sottolineato come ancora oggi esista una forte minaccia da parte delle malattie infettive. Queste, infatti, possono sempre più spesso derivare da un passaggio animale-uomo, conseguenza di un alterato habitat; la povertà di vasti strati della popolazione mondiale inoltre può fungere da elemento catalizzante la diffusione (G. Rezza, Epidemie: origini ed evoluzione, 2010). Per Ebola, il colpevole disinteresse da parte dei Paesi sviluppati si è tradotto in un ritardo nell’approntare efficaci strumenti di prevenzione e cura. La consapevolezza di vivere in un mondo globalizzato dovrebbe però indurre a un’attenta riflessione sulla pericolosità, attuale e futura, di Ebola e sulla necessità di un urgente intervento di solidarietà in Africa, così come autorevolmente affermato nel suo appello alla comunità internazionale da Papa Francesco in un’udienza con i fedeli, perché si fermi l’Ebola e «non venga meno il necessario aiuto della comunità internazionale per alleviare le sofferenze dei nostri fratelli e sorelle».
* Pubblichiamo la parte conclusiva dell’articolo del professor Roberto Cauda che appare nel numero in uscita del bimestrale di cultura dell’Università Cattolica “Vita e Pensiero”. La versione integrale è scaricabile in allegato. Roberto Cauda è direttore del Centro di Ateneo per la Solidarietà internazionale (Cesi) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e professore ordinario di Malattie infettive nello stesso Ateneo. Ha svolto attività di ricerca e didattica presso università statunitensi (Università dell’Alabama e Università di Lubbock Texas) ed europee (Parigi Reneé Descartes, St. Elizabeth Bratislava, Università di Trnava, Royal Infi rmary Edimburgo).