Non è solo la guerra a fare la storia, ma anche la pace. Secondo Alessandro Duce, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Parma, i periodi successivi ai conflitti sono più lunghi e hanno molto di più da dire allo storico. Duce, autore del volume edito da Studium Storia della politica internazionale (1917-1957). Dalla rivoluzione d’ottobre ai Trattati di Roma ne ha parlato in Cattolica nel corso di un seminario. «Le fasi di decomposizione del sistema (guerre, attacchi, invasioni) sono sempre brevi ed estemporanee, mentre le fasi di stabilizzazione sono assai più lunghe e significative, soprattutto per vedere le strategie dei paesi vincenti – ha spiegato -. Tali fasi sono sempre regolate da coloro che hanno vinto e lo studio di congressi e accordi internazionali post bellici è fondamentale per comprendere appieno la logica e la ratio della storia seguente di questi paesi».
Il professore ha snocciolato alcuni casi di pacificazione, che hanno avuto effetti diretti sulla storia: il Congresso di Vienna del 1815, seguito alla Rivoluzione Francese e alle guerre napoleoniche; le alleanze bismarckiane, seguite alle guerre europee di metà 800; i cinque trattati di pace della prima guerra mondiale, stipulati a Versailles, Neuilly e altri paesi vicini a Parigi; la nascita dell’Onu alla fine del secondo conflitto mondiale. La stabilizzazione raggiunta nel 1945 è tuttora quella vigente, con un sistema euro-americano contrapposto a uno est europeo-asiatico fino al 1989 e, dopo la caduta del Muro, solo asiatico.
Lo storico ha spiegato, poi, il paradosso della bomba atomica: «La più grande arma di pace è stata proprio l’atomica, la quale non ha permesso altri conflitti mondiali, poiché il costo sarebbe stato troppo elevato». Hiroshima e Nagasaki hanno in qualche modo cambiato la storia del mondo, anche in relazione alle ideologie: «Quando si parla di radicamenti delle idee, uno degli elementi che ha spinto il sistema mondiale ad andare in crisi e a frenarsi è stato proprio la bomba atomica».
Alla domanda sull’eventualità che si vada verso un gioco a due tra Usa-Ue e Cina, il professor Duce ha risposto in modo netto: «Non vedo alcuna animosità negli equilibri attuali che porti a un gioco a due. Piuttosto si va verso una realtà fluida e multilaterale dove l’Asia avrà maggior peso». Nel presente e prossimo futuro il docente vede delle democrazie stanche e affaticate. La causa? Oltre all’astensionismo crescente, il prevalere delle lobby sui programmi politici, la caduta della natalità e la difficoltà nel superare i frazionismi. Per non parlare della completa assenza di un potere politico che gestisca la moneta unica europea.
Alessandro Duce ha concluso la sua relazione soffermandosi su un aspetto, che considera tra i più significativi del suo libro: «Il più grande errore degli ultimi anni è stato non aver capito e discusso abbastanza sulla memoria storica della Cina, umiliata a partire dalla vergognosa guerra dell’oppio del 1851-1852 da europei, giapponesi e americani. Allora, la Cina per la prima volta rialzò la testa quando si ribellò all’aggressione giapponese verso la fine del XIX secolo. Oggi non si può comprendere la situazione cinese, inclusa la crisi tibetana, se non si guardano i fatti a monte». E questo discorso va esteso a ciascun Paese che occupa un posto nell’attuale sistema geo-politico.