Importante risultato nella lotta contro l’emiplegia alternante, una rara patologia infantile che si contraddistingue per gli attacchi ricorrenti di emiparesi, ovvero episodi di paralisi che temporaneamente “congelano” metà parte del corpo del bimbo. Ricercatori dell'Istituto di Genetica medica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma nel corso di uno studio internazionale che ha coinvolto scienziati di 13 diversi Paesi sono finalmente riusciti a individuare il gene responsabile della malattia.
Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Genetics”, è stato condotto presso l'Istituto di Genetica Medica della Cattolica di Roma da Fiorella Gurrieri, Danilo Tiziano, Giovanni Neri e da giovani collaboratori Lorena Di Pietro, Stefania Fiori, Emanuela Abiusi.
Il gene identificato è “ATP1A3” e codifica per una proteina delle cellule nervose che serve a pompare ioni dentro e fuori la cellula (pompa ionica sodio-potassio). Questa scoperta potrebbe aprire la strada per una terapia mirata per questa malattia e potrebbe facilitarne la diagnosi precoce.
L'équipe dei genetisti dell’Università Cattolica di Roma è stata coinvolta in questo studio dall'Associazione Italiana per l'Emiplegia Alternante (Aisea), grazie alla presidentessa Rosaria Vavassori, che ha curato gli aspetti organizzativi della ricerca, contribuendo al finanziamento di questo studio sia con fondi dell'Aisea che con fondi dell'associazione francese per l'emiplegia alternante (Afha), concessi dal presidente Dominique Poncelin.
«Il lavoro - spiega la professoressa Gurrieri -ha coinvolto neurologi infantili e genetisti che operano in Europa e negli Stati Uniti».
L'emiplegia alternante è una patologia rara (colpisce uno su 1 milione di nuovi nati) e invalidante. Questa condizione è caratterizzata dall'esordio precoce di attacchi ricorrenti di emiparesi scatenati da fattori vari come lo stress, le emozioni o i cambiamenti di temperatura. I bambini affetti presentano di solito anche una disabilità intellettiva di grado medio-lieve.
La scoperta del gene è stata resa possibile grazie all'applicazione della tecnologia di sequenziamento del genoma chiamata “exome sequencing”, che ha recentemente rivoluzionato la ricerca di geni: «La tecnica – continua Gurrieri - consiste nel sequenziamento ad alta resa di tutta quella parte del nostro genoma, che contiene il codice delle proteine del nostro corpo (parte codificante, corrispondente a circa 2% del genoma) corrispondente circa a 20mila geni».
Per il lavoro di sequenziamento del dna di bambini malati e dei loro genitori sani i ricercatori dell’Università Cattolica si sono avvalsi della collaborazione dell'Istituto di Genomica Applicata (IGA) di Udine.
Confrontando dna di genitori e figli (in tutto sono stati analizzati 105 bambini), i ricercatori hanno scovato sul dna dei bimbi malati vari difetti genetici (mutazioni) a carico di un unico gene, ATP1A3, sul cromosoma 19. Poiché i genitori di questi bimbi non presentano queste mutazioni e il loro gene ATP1A3 è sano, i ricercatori hanno dedotto che questo gene è alla base della malattia e che le mutazioni si formano “de novo” nella delicata fase della formazione della nuova vita.
Il prodotto proteico di questo gene serve al funzionamento corretto dei neuroni, attraverso il trasporto di ioni dentro e fuori le cellule nervose.
«Se il gene è difettoso la pompa funziona in modo alterato – prosegue Gurrieri – tuttavia questo aspetto resta però ancora da approfondire con studi funzionali che sono già in corso e che potrebbero portare allo sviluppo di un farmaco contro la malattia.
È interessante notare che altri difetti già noti a carico di questo stesso gene sono stati associati (nel corso di precedenti studi di altri gruppi di ricerca) a un’altra malattia del sistema nervoso, una sindrome ereditaria di Distonia e Parkinsonismo a esordio tardivo. Questo indica che il gene ha più funzioni, rileva l’esperta, e offre una traccia da seguire per capire il suo ruolo nella emiplegia alternante. L’aver scoperto che ATP1A3 è il gene alla base della malattia - conclude -, è il punto di partenza per poter mettere a punto un test diagnostico e poi, in futuro, una strategia terapeutica mirata».