“Il ruolo degli immigrati nel mercato del lavoro italiano”: questo è il titolo della ricerca presentata lo scorso 19 novembre nella sala Gialla del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, a Roma, nata dalla collaborazione fra due professori dell’Università Cattolica: Claudio Lucifora, docente di Economia politica ed Economia del lavoro e Carlo Dell’Aringa, docente di Economia politica.
Il rapido aumento dell’immigrazione, negli ultimi quindici anni, ha fatto sì che il numero di lavoratori stranieri attivi nell’economia italiana sia aumentato fino a diventare una componente strutturale della società e dell’economia nazionale. Per questo motivo, gli studi hanno sottolineato che «stanno diventando sempre più importanti gli strumenti che la ricerca scientifica mette a disposizione per la conoscenza di questo fenomeno, sia dal punto di vista dell’integrazione e dell’assimilazione della popolazione immigrata nel tessuto sociale ed economico del Paese in cui si è insediata, che dal lato degli effetti che provoca nel mercato del lavoro di destinazione, in particolar modo per quanto riguarda le retribuzioni, l’occupazione e la disoccupazione dei lavoratori locali».
L’immigrazione, infatti, ha effetti non soltanto sul mercato del lavoro ma anche sui prezzi dei beni di consumo, sulle abitazioni, sulla fruibilità dei mezzi pubblici e sul livello medio di educazione. Dunque, secondo gli autori di questi studi, l’assimilazione economica degli immigrati, ossia la loro integrazione nel mercato del lavoro del Paese di destinazione, si realizza in tempi parecchio lunghi e, per alcune categorie di immigrati, non si realizza mai completamente.
Ma l’arrivo e la presenza degli immigrati comporta davvero effetti in termini salariali o occupazionali per gli autoctoni? «Il ruolo degli immigrati – hanno risposto i ricercatori – rappresentando uno shock di offerta, può essere sostitutivo al lavoro degli autoctoni, riducendo le opportunità occupazionali dei nativi e comprimendone i salari medi. Tuttavia, la forza lavoro immigrata e quella autoctona difficilmente sono omogenee fra loro, differendo per il livello medio delle competenze». La manodopera straniera, dunque, tende a rispondere a rispondere a peculiari fabbisogni della domanda di lavoro che la manodopera italiana non riesce a soddisfare.
Inoltre, sembrerebbe che la crisi economica non abbia interrotto il processo di crescita dell’occupazione straniera, che in questi ultimi anni ha continuato ad espandersi, compensando così la forte contrazione che ha colpito la componente italiana. In realtà, però, secondo gli studiosi tale fenomeno sarebbe da attribuire all’effetto emersione. L’emergere di lavoratori già presenti sul territorio nazionale ma non censiti dalle statistiche, quindi, può offrire un’immagine imperfetta dell’effettiva dinamica della popolazione e dell’occupazione degli immigrati, attribuendo al periodo preso in esame una crescita dell’occupazione avvenuta prima del manifestarsi della crisi. «Non a caso – hanno precisato – i dati testimoniano una diminuzione dell’employability, ossia la capacità di essere occupati degli stranieri».
Dall’analisi delle retribuzioni dei dipendenti immigrati è emerso che la disparità salariale tra italiani e stranieri non deriva esclusivamente dalla loro origine, bensì da elementi che, combinati fra loro, determinano uno svantaggio salariale. Elementi come la professione ricoperta dagli stranieri, la loro bassa qualifica e l’occupazione nei settori di attività della più bassa produttività in cui sono impiegato.
Secondo le analisi condotte, poi, gli immigrati tendono ad essere impiegati in lavori per i quali le qualifiche necessarie sono inferiori a quelle possedute rispetto ai nativi: indice di sovra qualificazione, ossia di un’eccessiva istruzione rispetto al livello che viene richiesto dal lavoro svolto, ed ulteriore segnale di una scarsa assimilazione. Inoltre, è stata messa in evidenza la scarsa disponibilità del sistema economico italiano a valorizzare il capitale umano degli stranieri: «la correlazione tra titolo di studio e livello salariale non è sempre chiara», hanno chiosato i ricercatori.
Comunemente, alla presenza immigrata si associa una maggior concorrenza sul mercato del lavoro e quindi una maggior difficoltà a trovare impiego. A risentire maggiormente della concorrenza degli immigrati, però, secondo questa ricerca sono soprattutto i lavoratori con titoli di studio di basso livello e i più giovani. «La presenza immigrata nel territorio non ha un ruolo significativo nell’influenzare la probabilità di perdere l’occupazione – hanno spiegato - Non c’è un effetto concorrenza, in termini di job displacement, derivante dalla maggior presenza di immigrati. La concorrenza si rileva, invece, in termini di risultati di ingresso nell’occupazione da parte dei disoccupati, specie per i segmenti più deboli».
Non è agevole, però, identificare i fattori che stanno guidando la trasformazione della struttura produttiva dell’economia italiana, al fine di anticipare i trend futuri della domanda di lavoro. Anche se «è probabile – hanno commentato i ricercatori – che gli afflussi di immigrati nel prossimo futuro si rivelino di intensità minore rispetto a quanto previsto dalle stime demografiche dell’Istat, in quanto il deterioramento del mercato del lavoro fungerebbe da deterrente all’arrivo dei nuovi lavoratori dall’estero. Se invece le stime dell’Istat risultassero corrette, ci troveremmo inevitabilmente di fronte ad un incremento del numero di disoccupati di cittadinanza straniera».