Ematologi dell’Università Cattolica – Policlinico A. Gemelli di Roma hanno scoperto che il fumo di sigaretta, l’abuso di droghe da inalazione come la cocaina, l’esposizione in ambiente di lavoro a polveri sono alcuni dei fattori di rischio che possono aggravare il quadro clinico di pazienti colpiti da leucemie, specie da leucemia mieloide acuta, perché sono tutti fattori “apripista” alle infezioni da funghi, che possono compromettere il buon esito delle terapie chemioterapiche.
La scoperta è frutto di uno studio multicentrico che ha coinvolto in tutto 1.192 pazienti seguiti presso 35 centri italiani che avevano appena ricevuto una diagnosi di leucemia mieloide acuta. Il lavoro, pubblicato sulla rivista Haematologica - organo ufficiale della società europea di ematologia - è stato coordinato dal professor Livio Pagano, dirigente medico nel reparto di Ematologia del Policlinico A. Gemelli di Roma.
Le infezioni fungine possono compromettere le cure contro la leucemia, ritardandole, con conseguenze sulla prognosi del paziente. Oggi di fatto costituiscono un problema non infrequente in campo ematologico nonché una voce di spesa non indifferente, dato che finora non vi era modo di discriminare tra i pazienti più a rischio che quindi vanno trattati con farmaci antinfungini in via preventiva, e quelli che invece molto probabilmente non svilupperanno dette infezioni.
Le complicanze infettive riguardano tutti i pazienti ematologici, specie, però, quelli che a causa del danno midollare vanno più frequentemente incontro a fasi di prolungata carenza di particolari cellule che partecipano alle difese immunitarie (neutrofili e linfociti). I soggetti più a rischio sono appunto i pazienti con leucemie acute, sopratutto le mieloidi, e i soggetti trapiantati di midollo allogenico, ovvero da donatore compatibile.
Per di più la chemioterapia deve spazzare dal midollo le cellule leucemiche, ma questo non è un obiettivo semplice, per cui i farmaci eliminano in maniera indiscriminata sia le cellule leucemiche, sia quelle sane. Sebbene l'organismo reagisca tendendo a produrre nuove cellule sane, tra la somministrazione dei farmaci antiblastici e la ripopolazione cellulare passa un tempo in cui l'organismo è privo di neutrofili, famiglia di cellule immunitarie che rappresenta la principale difesa contro le infezioni fungine.
Poiché accade spesso che i pazienti, per abitudini di vita o lavoro, siano a contatto o addirittura il loro corpo è colonizzato dai funghi, e poiché in presenza di leucemia i neutrofili sono scarsamente funzionanti, questi soggetti sviluppano l'infezione (parliamo sopratutto di infezioni da aspergilli che sono ubiquitari e penetrano nell'organismo attraverso le vie aeree) ancora prima di cominciare la chemioterapia. Ciò porta alla necessità di posticipare i trattamenti chemioterapici per garantire prima la guarigione dall’infezione fungina. Ma questo ritardo nel cominciare la chemio può avere conseguenze drammatiche.
«Fino a ora il tasso di mortalità per infezioni fungine è stato sempre elevatissimo per questo abbiamo focalizzato l'attenzione su questa complicanza - spiega il professor Pagano -. Il fenomeno delle infezioni fungine in questi pazienti oncologici è piuttosto frequente, infatti in tutta la popolazione dei pazienti emopatici che è sottoposta alla chemioterapia circa il 4-5% dei pazienti può svilupparne una aspergillosi o candidemia (infezione sistemica da candida), ma si arriva quasi all'8% nei pazienti con leucemia mieloide acuta ed altrettanto nei trapianti allogenici».
«Nel nostro lavoro abbiamo visto che il fumo, l’uso di sostanze tossiche inalate (cocaina), l’essere esposti durante l’orario di lavoro a polveri sono tutti fattori che favoriscono l'insorgenza delle aspergillosi», prosegue il professore.
Lo studio è importante anche in considerazione del fatto che i farmaci anti-fungini rappresentano, dopo i chemioterapici, la maggiore voce di spesa per i pazienti ematologici e spesso vengono somministrati empiricamente solo nel sospetto ma non nella certezza di una infezione, provata da referti microbiologici.
A tali costi vanno aggiunti quelli per la prevenzione (intendendo con questo termine la somministrazione profilattica indiscriminata a tutti i pazienti di farmaci antifungini, sia quelli a rischio che non). «Con questo lavoro - conclude il professor Pagano - vorremmo segnalare che i pazienti non sono tutti uguali e che probabilmente bisogna operare una selezione tra quanti devono essere sottoposti a profilassi e a quanti, invece, fare un trattamento empirico, il che si tradurrebbe in una riduzione considerevole della spesa sanitaria».