Formare una nuova generazione di ricercatori responsabili, in cui si fondano creatività e rigore, capaci di cogliere le opportunità esistenti (finanziarie e non) e di dialogare con gli stakeholder esterni al mondo accademico. È il messaggio di due importanti convegni recentemente co-organizzati dal Miur: “Empowerment of the next generation of researchers” (Trento, 18 e 19 novembre - in collaborazione con la Commissione europea e la Provincia Autonomia di Trento), e “International, intersectoral, interdisciplinary: the triple “i” approaching to doctoral training” (Padova, 20 e 21 novembre - in collaborazione con le Università di Padova e di Camerino).
Trento: l’Europa sostiene il dottorato
La riflessione, a cui hanno partecipato rappresentanti della Commissione europea, del Miur (tra cui il ministro Stefania Giannini), docenti e staff delle università di tutta Europa, si è concentrata in particolare sul dottorato di ricerca. Costituendo il primo gradino delle carriere di ricerca e, al contempo, l’ultimo livello dell’istruzione superiore (terzo ciclo), la formazione dottorale risulta cruciale sia nell’ambito dello spazio di ricerca europeo (European Research Area), sia nel sistema della European Higher Education Area.
I dati confermano, soprattutto negli ultimi anni, un’attenzione crescente da parte delle istituzioni europee per il dottorato di ricerca: già nel 2011, la Commissione ha enunciato una serie di princìpi relativi a una formazione dottorale innovativa, a cui si dovrebbero ispirare le università (Innovative Doctoral Training). Ancora, per quanto riguarda le opportunità di finanziamento, ben il 50% del budget delle Marie Sklodowska Curie Actions, lo schema di finanziamento per i giovani ricercatori, è dedicato alla formazione dottorale (European Joint Doctorate, European Industrial Doctorate, European Training Network): entro il 2020, si prevede che 20.000 dottori di ricerca avranno beneficiato dei programmi Marie Curie, più del doppio rispetto al precedente periodo di programmazione europea 2007/2013.
A livello nazionale, pur restando una grande eterogeneità di situazioni tra gli Stati membri e tra gli Atenei negli stessi Stati, sono in fase di implementazione una serie di iniziative per il rafforzamento della formazione dottorale tesa all’empowerment dei giovani ricercatori. Nei prossimi mesi si dovrebbero vedere i primi effetti.
Padova, le tre “i” del PhD
Durante il convegno di Padova, sono stati identificati approcci analoghi, improntati ai seguenti aspetti (la tripla “i”):
Internazionalizzazione: lo sforzo maggiore dev’essere nel senso di considerare l’internazionalizzazione del dottorato non solo tramite la cifra della mobilità dei ricercatori, ma anche attraverso strategie diverse e complementari: per citare qualche esempio, la promozione di diplomi doppi, multipli, congiunti e il coinvolgimento, nei programmi di dottorato, di docenti di università straniere.
Interdisciplinarietà: alla formazione disciplinare specifica prevista nelle Scuole di dottorato, si sono aggiunti, negli ultimi anni, programmi di formazione trasversale e interdisciplinare per i dottorandi. Sicuramente questi percorsi favoriscono nelle opzioni di carriera future dei giovani ricercatori e promuovono nuove conoscenze e l’innovazione; restano zone d’ombra relative alla difficoltà nel reperimento dei finanziamenti, nelle pubblicazioni scientifiche e al rischio di produrre persone che non siano esperte in nessuna disciplina specifica.
Inter-settorialità: c’è una tendenza generale a stimolare la mobilità inter-settoriale, tra accademia, imprese e altri enti, già durante il programma di dottorato, secondo vari schemi, a seconda delle caratteristiche dei sistemi territoriali. Generalmente, la mobilità inter-settoriale dei dottorandi si sta sviluppando in particolare nella forma dei dottorati industriali, identificati come il terreno più fertile per produrre innovazione.
Come ha ben sottolineato il direttore generale della DG Education and Culture Xavier Prats-Monné, l’obiettivo legato al potenziamento delle competenze dei ricercatori tramite gli strumenti di cui sopra è duplice. Da un lato, certamente, il miglioramento delle prospettive di carriera dei ricercatori stessi e della loro employability, anche in settori diversi dall’accademia; dall’altro, a livello macro, massimizzare l’impatto sistemico di una nuova generazione di ricercatori sull’economia e sulla società europea.