In questo momento nessuno è in grado di quantificare con precisione quali possono essere le conseguenze economiche di questa crisi da Coronavirus». Marco Lossani, docente di Economia internazionale nella facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore cerca di fare chiarezza sugli «effetti panico» che, a seguito dell’epidemia da COVID-19, stanno subendo i mercati finanziari, con miliardi di capitali bruciati nelle principali Borse occidentali, e alcuni settori produttivi. Ma non solo. «D’altronde basta vedere quello che è successo con la folle corsa agli scaffali dei supermercati dopo che si era diffusa la voce che ci sarebbero state difficoltà ad approvvigionarsi».
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Professor Lossani, quali sono le maggiori ripercussioni sull’economia mondiale? «Il Coronavirus ha sostanzialmente due effetti. Il primo, che è anche quello prevalente, è uno shock da effetto negativo, legato al fatto che s’interrompe la normale produzione all’interno di quei paesi particolarmente colpiti dal virus, uno su tutti la Cina. Essendo questi paesi al centro delle cosiddette catene di produzione globale del valore (ndr global value chain), le ripercussioni che si hanno a livello internazionale derivano dalla possibile crescente scarsità di beni, soprattutto intermedi, utilizzati nelle diverse catene produttive».
L’altro shock? «Riguarda la domanda e rischia di incidere negativamente sulla produzione del Pil mondiale. In particolare, la situazione di perdurante difficoltà sul fronte dell’attività produttiva, se andrà avanti a lungo, avrà un impatto sui livelli di reddito di diversi operatori con effetti negativi dal lato della domanda. Ciò spiega anche la reazione delle Borse che nelle ultime sedute hanno perso in maniera abbastanza considerevole».
La forte interconnessione rende più fragili i mercati? «Questa è la faccia costosa della globalizzazione che ha benefici ma anche costi. Infatti, quando le cose vanno male, la malattia si diffonde tanto più rapidamente quanto più c’è una interconnessione di natura reale, cioè legata allo svolgimento dei processi produttivi o di scambi di bene, e quanto maggiore è l’integrazione finanziaria. Per certi versi fortunatamente scontiamo a livello mondiale solo una grande interconnessione di carattere reale, e non finanziario, tra Cina e resto del mondo. La prima conta su un mercato finanziario ancora segregato e con un eccesso di controlli che, limitando la mobilità di capitale, riducono le eventuali ripercussioni che si potrebbero manifestare attraverso il canale finanziario».
All’economia italiana cosa succederà? «In Italia si sta verificando in scala ridotta quello che osserviamo sul fronte internazionale. Purtroppo le regioni maggiormente colpite sono quelle al cuore dell’attività produttiva del Paese. Il fatto poi che siano coinvolte proprio Lombardia e Veneto (ndr insieme generano il 31% di tutto il Pil italiano) può avere ricadute non banali per quanto riguarda la produzione complessiva del reddito nazionale».
Tutto questo avrà effetti sulle tasche degli italiani? «Una quantificazione precisa delle conseguenze del Coronavirus è sostanzialmente impossibile. Il motivo è molto semplice: nessuno è in grado di prevedere correttamente quanto questa situazione perdurerà e con quale intensità il contagio si potrà diffondere. Ci troviamo di fronte a un fenomeno nuovo e non sappiamo esattamente se l’emergenza sarà contenuta entro limiti accettabili nell’arco delle prossime settimane o addirittura si impiegheranno mesi. Certo è che alcuni particolari comparti sembrano essere più danneggiati di altri, penso al settore alberghiero, della ristorazione, del turismo, dove si segnalano già una serie di ricadute negative per il fatto che la mobilità delle persone e delle merci è drasticamente crollata o per via di provvedimenti di natura amministrativa o per scelte volontarie da parte di singoli. Insomma tutti aspetti che vanno a impattare immediatamente su questo tipo di attività».
Quando ne usciremo fuori? «La via d’uscita passa attraverso due canali: uno ha a che vedere con il riassorbimento degli “effetti panico”, che ci sono già stati sui mercati finanziari e li abbiamo visti in maniera molto chiara. Questo virus sta producendo danni che si traducono in un rallentamento dell’attività economica che i mercati di borsa scontano “correttamente” attraverso quotazioni inferiori rispetto a quelle di qualche settimana fa. Su questa reazione, assolutamente ragionevole e comprensibile, s’innestano azioni di panico, per esempio alcuni operatori hanno cominciato a vendere massicciamente più di quanto avrebbe dovuto essere per il semplice motivo che cominciano a temere cose che non sono ben spiegabili sulla base dei cosiddetti fondamentali. Se tra qualche settimana cominceranno ad arrivare notizie migliori sui fronti del contagio questo eliminerà le reazioni eccessive. L’altro canale potrebbe essere la politica economica: di fatto alcune banche centrali, in primis la Bce e non solo, stanno pensando a misure straordinarie per ridare fiducia ai mercati e cercare di contenere le conseguenze negative del panico».